Salmo 139(138) con il commento di Chiara Piscaglia



Dal libro dei Salmi
Salmo 139 (138) – Stupore davanti all’onnisciente e onnipotente Dio
(Salmo sapienziale sulla presenza di Dio. Salmo di lode, con formule imprecatorie)

Testo del Salmo
1 Al maestro del coro. Di Davide. Salmo. 

Signore, tu mi scruti e mi conosci, 2 tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo, intendi da lontano i miei pensieri, 3 osservi il mio cammino e il mio riposo, ti sono note tutte le mie vie. 4 La mia parola non è ancora sulla lingua ed ecco, Signore, già la conosci tutta. 5 Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano. 6 Meravigliosa per me la tua conoscenza, troppo alta, per me inaccessibile. 7 Dove andare lontano dal tuo spirito? Dove fuggire dalla tua presenza? 8 Se salgo in cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti. 9 Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, 10 anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra. 11 Se dico: «Almeno le tenebre mi avvolgano e la luce intorno a me sia notte», 12 nemmeno le tenebre per te sono tenebre e la notte è luminosa come il giorno; per te le tenebre sono come luce. 13 Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel grembo di mia madre. 14 Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda; meravigliose sono le tue opere, le riconosce pienamente l’anima mia. 15 Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra. 16 Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi; erano tutti scritti nel tuo libro i giorni che furono fissati quando ancora non ne esisteva uno. 17 Quanto profondi per me i tuoi pensieri, quanto grande il loro numero, o Dio! 18 Se volessi contarli, sono più della sabbia. Mi risveglio e sono ancora con te. 19 Se tu, Dio, uccidessi i malvagi! Allontanatevi da me, uomini sanguinari! 20 Essi parlano contro di te con inganno, contro di te si alzano invano. 21 Quanto odio, Signore, quelli che ti odiano! Quanto detesto quelli che si oppongono a te! 22 Li odio con odio implacabile, li considero miei nemici. 23 Scrutami, o Dio, e conosci il mio cuore, provami e conosci i miei pensieri; 24 vedi se percorro una via di dolore e guidami per una via di eternità. 

 

 

 

 

 

Canto
Sorelle Clarisse del Monastero Natività di Maria, Rimini

Musica di sottofondo al commento
Libreria suoni di Garage Band

Meditazione
Chiara Piscaglia

Meditazione
Questo salmo è una meraviglia, un incanto: nel leggerlo vivo la stessa sensazione di quando ascolto una musica dolce, lo sento entrare dentro e pacificarmi. È una preghiera, ma in fondo è una lettera d’amore, una duplice lettera d’amore: dell’uomo a Dio, e di Dio all’uomo. Ogni parola, ogni verbo emanano bene, calore, intimità, relazione. Mi soffermo sui versi iniziali, che hanno continuato ad essermi particolarmente cari, dopo che una clarissa, tanti anni fa, me li spezzettò rendendomeli gustabili. Intanto quel primo verbo: scrutare, se lo si prende direttamente dall’ebraico, è il verbo che si usa per indicare lo sguardo che una mamma ha sul suo bimbo che cresce, ripenso ai primi passi dei miei figli e sento quale stupore, meraviglia, gratitudine, si provi davanti a quell’incerto movimento, una mamma cerca di non perdersi nulla delle conquiste del proprio figlio e, davanti a quelle, si commuove. Questo è lo sguardo di Dio su di me: «Signore, tu mi scruti».
Poi c’è quell’altro verbo: conoscere, sempre prendendolo dall’ebraico, è il verbo con cui il bimbo, per conoscere, tocca un oggetto, lo prende in mano, lo porta alla bocca. Così Dio con noi, ai suoi occhi siamo nuovi e innocenti. Poi ci sono quei quattro verbi in cui viene declinata la conoscenza che Dio sperimenta di noi: ci conosce quando ci alziamo e ci sediamo, nel cammino e nel riposo. Sono i verbi dello Shemà Israel, le azioni durante le quali dire che Lui è il nostro Dio. Per cui dire che il Signore mi conosce mentre mi alzo, mi siedo, cammino e mi corico, è come dire: “Signore tu sai che ti amo”. Continua poi il salmo a descrivere l’intima conoscenza che Dio ha di me: intende i miei pensieri da lontano, li legge, li capisce, non solo li vede. Sentirmi profondamente capita è un desiderio che ho, a volte vivo la frustrazione di esprimermi, di cercare di raccontare cosa penso e cosa provo e avvertire che l’altro non lo ha colto in pieno. Con Dio non è così, Lui intende i miei pensieri. Tu sai Dio cosa mi sazia e cosa mi dà pace. «Ti sono note tutte le mie vie», ma il verbo, in ebraico, è più pregnante, tu “tifi per me”, per il mio successo, hai fiducia, mi incoraggi, non è solo un avere note le mie vie. «Alle spalle e di fronte mi circondi», letteralmente “ad occidente e ad oriente”, “nel passato e nel futuro”, “totalmente e sempre” mi ami e «poni su di me la tua mano».
Impossibile fuggire. Ovunque tu sei; se fuggo all’estremità del mare con le ali dell’aurora, anche là mi sostieni, mi tieni saldo, non mi abbandoni, nonostante me stesso. Neppure nella notte – e la notte è il male, è il peccato – io posso fuggirti e sentirmi lontano da te, perché per Dio le tenebre sono giorno. Sei tu che mi hai intessuto, in ebraico il verbo è rakam, che era il nome di una famosa rivista di ricamo, che comprava sempre mia nonna. Rakam infatti è ricamare, ora la nuova versione della Bibbia dice proprio che il Signore «mi ha ricamato». E chi ricama sa quale attenzione ci voglia nei particolari, quale avvicendarsi di fili colorati per ottenere il risultato. Mia figlia ricama, i suoi ricami sono particolareggiati, precisi, bellissimi.  Ecco, Dio ci ha ricamati e colorati, con pazienza, con cura, con precisione: siamo un prodigio. E questo prodigio è stato ricamato nelle profondità della terra, che è grembo materno ed è sepolcro. Per cui mi hai ricamato per portarmi alla vita e continuerai a ricamarmi perché questa vita sia eterna, oltre questa vita. “I miei giorni erano già fissati quando ancora non esistevano giorni”: la mia vita è salda, ha fondamento e ha un domani perché tu lo hai già stabilito. Mi accorgo che commentare questo salmo è coglierne solo una minima parte, ridurlo; per cui mi fermo, torno a rileggerlo, a pregarlo, a contemplarlo, a perdermi dentro quelle parole e a farle mie, per sentire il bene che Dio mi vuole e per tentare di dirgli il bene che io gli voglio, o quello che vorrei volergli.

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