Salmo 102(101) con il commento di Chiara Piscaglia



Dal libro dei Salmi
Salmo 102 (101) – Preghiera di un povero sfinito
(Lamentazione di un sofferente desolato. Supplica comunitaria per la città santa. Messianico, escatologico, penitenziale)

Testo del Salmo
1 Preghiera di un povero che è sfinito ed effonde davanti al Signore il suo lamento. 
2 Signore, ascolta la mia preghiera, a te giunga il mio grido di aiuto. 3 Non nascondermi il tuo volto nel giorno in cui sono nell’angoscia. Tendi verso di me l’orecchio, quando t’invoco, presto, rispondimi! 4 Svaniscono in fumo i miei giorni e come brace ardono le mie ossa. 5 Falciato come erba, inaridisce il mio cuore; dimentico di mangiare il mio pane. 6 A forza di gridare il mio lamento mi si attacca la pelle alle ossa. 7 Sono come la civetta del deserto, sono come il gufo delle rovine. 8 Resto a vegliare: sono come un passero solitario sopra il tetto. 9 Tutto il giorno mi insultano i miei nemici, furenti imprecano contro di me. 10 Cenere mangio come fosse pane, alla mia bevanda mescolo il pianto; 11 per il tuo sdegno e la tua collera mi hai sollevato e scagliato lontano. 12 I miei giorni declinano come ombra e io come erba inaridisco. 13 Ma tu, Signore, rimani in eterno, il tuo ricordo di generazione in generazione. 14 Ti alzerai e avrai compassione di Sion: è tempo di averne pietà, l’ora è venuta! 15 Poiché ai tuoi servi sono care le sue pietre e li muove a pietà la sua polvere. 16 Le genti temeranno il nome del Signore e tutti i re della terra la tua gloria, 17 quando il Signore avrà ricostruito Sion e sarà apparso in tutto il suo splendore. 18 Egli si volge alla preghiera dei derelitti, non disprezza la loro preghiera. 19 Questo si scriva per la generazione futura e un popolo, da lui creato, darà lode al Signore: 20 «Il Signore si è affacciato dall’alto del suo santuario, dal cielo ha guardato la terra, 21 per ascoltare il sospiro del prigioniero, per liberare i condannati a morte, 22 perché si proclami in Sion il nome del Signore e la sua lode in Gerusalemme, 23 quando si raduneranno insieme i popoli e i regni per servire il Signore». 24 Lungo il cammino mi ha tolto le forze, ha abbreviato i miei giorni. 25 Io dico: mio Dio, non rapirmi a metà dei miei giorni; i tuoi anni durano di generazione in generazione. 26 In principio tu hai fondato la terra, i cieli sono opera delle tue mani. 27 Essi periranno, tu rimani; si logorano tutti come un vestito, come un abito tu li muterai ed essi svaniranno. 28 Ma tu sei sempre lo stesso e i tuoi anni non hanno fine. 29 I figli dei tuoi servi avranno una dimora, la loro stirpe vivrà sicura alla tua presenza. 

 

 

 

 

 

Recitano
Sorelle Clarisse del Monastero Natività di Maria, Rimini

Musica di sottofondo al commento
Libreria suoni di Garage Band

Meditazione
Chiara Piscaglia

Meditazione
Un nuovo salmo che scaturisce dal cuore di qualcuno che è particolarmente afflitto. I primi versi sono un invocare una relazione con Dio che passa attraverso il canale uditivo. Il salmista grida, invoca, chiede che il Signore gli presti l’orecchio, anela ad una risposta. Chiede che Dio dia ascolto alla sua preghiera e questa preghiera la possiamo suddividere in due parti. La prima metà, circa, è la descrizione della sofferenza dell’orante. Ricorre a tante similitudini per rendere con efficacia il suo sentimento di angoscia, di aridità, di vuoto, la sensazione che la vita fugga senza lasciare traccia, senza essere servita a qualcuno. Giorni che fuggono come fumo, vita come erba falciata, che si sa, secca in fretta. Si paragona a volatili che abitano il deserto, le rovine, o che sono solitari per definizione. Quando si è particolarmente tristi e angosciati, si prova spesso anche la sensazione di solitudine, perché si ha l’idea che non sia facile condividere il proprio dolore, o che altri lo possano comprendere e sentire con la stessa intensità con cui lo proviamo. A questa sofferenza si aggiunge l’insulto dei nemici, pane di cenere ed acqua di pianto, perché si sente allontanato da Dio, anzi scagliato lontano da Dio, nel suo sdegno e nella sua collera. Direi che il quadro è completo, la misura dell’afflizione è colma. E quando raggiunge questo vertice di tristezza al versetto 12, comincia la seconda metà della preghiera: l’orante inizia a risollevare lo sguardo e il cuore. Contrappone alla sua desolazione quel «Ma tu..», in cui comincia a descrivere la grandezza di Dio. Se i miei giorni passano e svaniscono, Tu rimani in eterno, Tu ti alzerai e avrai compassione. Il Signore ricostruirà Sion: alla sofferenza del singolo si unisce la sofferenza del popolo, e alla speranza di rinascita del popolo si unisce la speranza di rinascita del singolo. Io sono come un uccello che stenta a volare: gufo, civetta o passero. Il Signore è già in alto, e dall’alto si china verso di me, ascolta il sospiro del prigioniero, libera i condannati. Con tante parole diverse, in tanti versi che si susseguono, alla fugacità della vita dell’uomo, al suo essere effimero, contrappone l’eternità di Dio, il suo durare ed esserci da sempre e per sempre. La fugacità della vita dell’uomo, che passa come soffio, trova fondamento nell’eternità di Dio, che dell’uomo si prende cura. Questo salmo mi fa pensare proprio a questo contrasto fra ciò che passa e ciò che resta. Ed oggi mi propongo di vivere qualcosa che sia per sempre, che non sarà un oggetto acquistato, un lavoro fatto o  un cibo mangiato, non è in questo che voglio consumare tutte le mie energie, ma sarà accogliere il bene che qualcuno mi dimostrerà o donare il mio bene a qualcuno che incontrerò, o che già mi è accanto. Questo penso sia qualcosa che in Dio resta, per sempre. Ecco, Signore, ti affido la mia vita, perché in Te trovi un “per sempre”.

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