Salmo 88(87) con il commento di Antonella Corelli



Dal libro dei Salmi
Salmo 88 (87) – Grido di aiuto al Dio della salvezza
(Lamentazione e supplica di un infermo sopraffatto dalla sofferenza. Salmo profetico, messianico)

Testo del Salmo
1 Canto. Salmo. Dei figli di Core. Al maestro del coro. Sull’aria di «Macalàt leannòt». Maskil. Di Eman, l’Ezraita. 

2 Signore, Dio della mia salvezza, davanti a te grido giorno e notte. 3 Giunga fino a te la mia preghiera, tendi l’orecchio alla mia supplica. 4 Io sono sazio di sventure, la mia vita è sull’orlo degli inferi. 5 Sono annoverato fra quelli che scendono nella fossa, sono come un uomo ormai senza forze. 6 Sono libero, ma tra i morti, come gli uccisi stesi nel sepolcro, dei quali non conservi più il ricordo, recisi dalla tua mano. 7 Mi hai gettato nella fossa più profonda, negli abissi tenebrosi. 8 Pesa su di me il tuo furore e mi opprimi con tutti i tuoi flutti. 9 Hai allontanato da me i miei compagni, mi hai reso per loro un orrore. Sono prigioniero senza scampo, 10 si consumano i miei occhi nel patire. Tutto il giorno ti chiamo, Signore, verso di te protendo le mie mani. 11 Compi forse prodigi per i morti? O si alzano le ombre a darti lode? 12 Si narra forse la tua bontà nel sepolcro, la tua fedeltà nel regno della morte? 13 Si conoscono forse nelle tenebre i tuoi prodigi, la tua giustizia nella terra dell’oblio? 14 Ma io, Signore, a te grido aiuto e al mattino viene incontro a te la mia preghiera. 15 Perché, Signore, mi respingi? Perché mi nascondi il tuo volto? 16 Sin dall’infanzia sono povero e vicino alla morte, sfinito sotto il peso dei tuoi terrori. 17 Sopra di me è passata la tua collera, i tuoi spaventi mi hanno annientato, 18 mi circondano come acqua tutto il giorno, tutti insieme mi avvolgono. 19 Hai allontanato da me amici e conoscenti, mi fanno compagnia soltanto le tenebre.

 

 

Recitano
Sorelle Clarisse del Monastero Natività di Maria, Rimini

Musica di sottofondo al commento
Libreria suoni di Garage Band

Meditazione
Antonella Corelli

Meditazione
Qualcuno lo ha definito il “salmo più cupo del Salterio, la più tenebrosa di tutte le lamentazioni, il più drammatico De profundis, il Cantico dei Cantici del Pessimismo”. Eman, l’Ezraita riconosce in Dio l’unica possibilità di salvezza e lo invoca continua ad invocarlo, nonostante si trovi fin dall’infanzia in una situazione di sofferenza fisica, ma forse più psicologica, che lo ha inesorabilmente portato ad una situazione di solitudine. Quante volte ci troviamo ad affrontare anche noi situazioni di fatica, di dolore, ci troviamo dentro un tunnel da cui non vediamo la luce, sembra che la vita sia stata vinta dalla morte e perdiamo la speranza di poter ritrovare la luce. Ci sembra di essere dei morti, che faticano a rialzarsi e a rimettersi in piedi, dei condannati alle tenebre, al male, al dolore che tutti, anche gli amici più fedeli, hanno abbandonato, addirittura crediamo che anche il Signore ci abbia abbandonato. Tutto tace proprio come il Sabato Santo, quando il silenzio regna e lo Sposo è morto. E credo che sia proprio il sentirsi abbandonati, non voluti bene, anche se affaticati, anche se viandanti, che il peso della vita ha reso tutt’altro che piacevoli compagni di viaggio, che ci paralizza, ci blocca, non ci fa rialzare, ci convince di essere immeritevoli di poter godere della bellezza della vita, del bene degli amici, del bene del Signore, del suo amore, quell’amore che fin dal grembo materno ci ha chiamati per nome e ci ha presi per mano. Ci arrabbiamo spesso, quando Lui sembra non rispondere alla nostra invocazione, ma forse pensiamo di essere troppo peccatori e di non meritarci la sua misericordia, e siamo così aggrovigliati nei nostri pensieri, nella nostra sofferenza, che stentiamo a riconoscerlo nello sguardo di un povero che ci tende la mano, nel sorriso di un bimbo che ci chiede di essere accarezzato, nella voce tremolante di un anziano che ci chiede di donargli il nostro tempo.. Il Signore ci accompagna nel tratto faticoso del nostro cammino, non ci abbandona, non ci toglie il dolore, ma non ci lascia soli, sta a noi chiamarlo tutto il giorno e chiedere che si mostri a noi, o meglio che Lui possa aprire i nostri occhi e togliere quel velo che ci offusca lo sguardo, e possa rendere il nostro cuore non più chiuso, in un atteggiamento di pretesa e di aridità, ma capace di essere fecondo e rigoglioso. Anche quando le tenebre sembrano vincere nella nostra vita, aggrappiamoci alla luce della sua presenza, che può essere la telefonata di un amico che giunge inaspettata, l’abbraccio di un figlio che si sente accolto per quello che è, e non per quello che vorremmo. Aggrappiamoci a quella domanda che il Signore ci rivolge ogni giorno, anche quando siamo caduti a terra: “Antonella mi ami?”. Sapere che Lui ha bisogno del mio indegno amore mi fa sentire amata e non più sola, desiderata e voluta, e questo mi fa risalire dal regno degli inferi. Là dove la speranza sembrava essere stata annientata, l’Amore ci ha riportato in vita!

 

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