Salmo 77(76) con il commento di Giovanni Antonini



Dal libro dei Salmi
Salmo 77 (76) – Ricordo dei prodigi di Dio nei momenti della prova
(Lamentazione per le gravi sciagure di Israele. Richiamo all’Alleanza)

Testo del Salmo
1 Al maestro del coro. Su «Iedutùn». Di Asaf. Salmo. 

2 La mia voce verso Dio: io grido aiuto! La mia voce verso Dio, perché mi ascolti. 3 Nel giorno della mia angoscia io cerco il Signore, nella notte le mie mani sono tese e non si stancano; l’anima mia rifiuta di calmarsi. 4 Mi ricordo di Dio e gemo, medito e viene meno il mio spirito. 5 Tu trattieni dal sonno i miei occhi, sono turbato e incapace di parlare. 6 Ripenso ai giorni passati, ricordo gli anni lontani. 7 Un canto nella notte mi ritorna nel cuore: medito e il mio spirito si va interrogando. 8 Forse il Signore ci respingerà per sempre, non sarà mai più benevolo con noi? 9 È forse cessato per sempre il suo amore, è finita la sua promessa per sempre? 10 Può Dio aver dimenticato la pietà, aver chiuso nell’ira la sua misericordia? 11 E ho detto: «Questo è il mio tormento: è mutata la destra dell’Altissimo». 12 Ricordo i prodigi del Signore, sì, ricordo le tue meraviglie di un tempo. 13 Vado considerando le tue opere, medito tutte le tue prodezze. 14 O Dio, santa è la tua via; quale dio è grande come il nostro Dio? 15 Tu sei il Dio che opera meraviglie, manifesti la tua forza fra i popoli. 16 Hai riscattato il tuo popolo con il tuo braccio, i figli di Giacobbe e di Giuseppe. 17 Ti videro le acque, o Dio, ti videro le acque e ne furono sconvolte; sussultarono anche gli abissi. 18 Le nubi rovesciavano acqua, scoppiava il tuono nel cielo; le tue saette guizzavano. 19 Il boato dei tuoi tuoni nel turbine, le tue folgori rischiaravano il mondo; tremava e si scuoteva la terra. 20 Sul mare la tua via, i tuoi sentieri sulle grandi acque, ma le tue orme non furono riconosciute. 21 Guidasti come un gregge il tuo popolo per mano di Mosè e di Aronne. 

 

 

 

Canto
Sorelle Clarisse del Monastero Natività di Maria, Rimini

Musica di sottofondo al commento
Libreria suoni di Garage Band

Meditazione
Giovanni Antonini

Meditazione
La fede è una relazione e, in quanto relazione, si nutre di un habitat fecondo di gesti, carezze, dialoghi con il suo interlocutore, cioè l’amato, quindi Dio. E, come le relazioni tra due persone, fatte sia di momenti di felicità che di momenti di fatica, così la relazione con Dio è una relazione fatta di momenti di luce e di buio. Sta a noi assaporare l’amore nei momenti di luce, coltivare un legame di profonda connessione e creare una sintonia tra intestini, come quando dinnanzi alla persona che amiamo ci troviamo lo stomaco che si stringe come a chiedere fame, fame di quel sentimento, fame di quel bacio, fame di quel cuore che ci possa riscaldare. Amare è complicato, perché l’amore si fonda sul principio della fiducia. Affidarsi all’amato significa dare all’altro la possibilità di mettere voce nella nostra vita, dandogli l’opportunità di cambiarci e crescere. Fiducia implica non conoscere. Sì, perché la fiducia la si dona all’amato perché ci sono due cuori che battono all’unisono, e anche se distanti o mancanti di conoscenza, continuano a ritmare sullo stesso bit. Posso non sapere dove sia, posso non vederlo per diverso tempo, posso non condividere un suo gesto, ma sempre e comunque in lui pongo fiducia. E non c’è nulla di più umano che la relazione con Dio. È la relazione più umana che possiamo provare. Umana come sinonimo di profonda, intima, personale. Sì, perché Dio ci conosce, è disponibile, è affianco a noi che ci accompagna nel percorso di vita. Dargli la possibilità di entrare nella nostra vita significa non comprendere tutto; non conoscere, appunto vivere nel suo Mistero, fidarci e affidarci. È una relazione totalizzante ma inclusiva. Totalizzante perché se diamo a Dio la possibilità di riconoscersi nella nostra vita, lo troveremo ovunque: in quei volti che amiamo, nell’abbraccio di nostra madre, nel sorriso di nostro padre felice per noi, nel bacio di chi amiamo, nella stretta di mano con l’amico, nelle parole che ascoltiamo alla radio, nella intimità di una canzone, nell’aria che ci colpisce in faccia quando andiamo in bicicletta, nel silenzio della meditazione, tra le montagne e i suoi sterminati infiniti. In secondo luogo è inclusiva, perché è una relazione aperta. Ma non nel mero e svilente senso in cui oggi intendiamo una relazione aperta, ma nel senso più vero: una relazione che dà agli altri la possibilità di vederne la gioia attraverso i nostri occhi. Aperta nel senso di essere testimoni agli altri del nostro sentimento, infondere bellezza anche ai nostri amici, portare semente di amore anche dove non c’è. È relazione vera quando l’intorno profuma del sentimento puro. E il buio non lo si temerà più, perché la luce sarà presente anche quando intorno sarà tutto nero. Anche quando le lacrime bagneranno il nostro viso, anche quando le urla chiederanno permesso, anche e soprattutto quando soli guarderemo lo specchio e vedremo il nulla, il vuoto e il nero. Potremmo non riconoscerLo, potremmo non sentirLo vicino, potremmo perdere la fiducia in Lui. Ma non dovremmo far altro che dare a Lui la possibilità di abitarci il cuore. Sembra illogico. E, sì, è illogico. Ma l’amore non è logica, non è razionale, è «tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». È nel nero più buio che una piccola fiammella fa il massimo della luce. È nel nulla che l’amore ha la massima forza di attrazione. A Lui tutto è possibile. Dobbiamo solo imparare l’arte dell’attesa sentimentale. Un’attesa cioè che non sia un mero passatempo, come se aspettassimo che da solo il buio diventasse luce, ma sia un’attesa in cui scelgo di mettermi in gioco. Ho la possibilità di stare nel tormento interiore non cercando soluzioni immediate, ma cercando di vivere il malessere nel profondo: pormi domande, pormele di nuovo; senza passare per scorciatoie, pronto a starci male, a non vedere nulla e ad aver paura, perché il buio è tenebroso e mi limita, ma posso cercare un modo per dare ossigeno a quel buio così da dare conseguentemente la possibilità alla fiamma di riaccendersi. E quando si riaccenderà, rivedró le meraviglie della mia vita, pronto a riabbracciare l’unicità del mio nome, Giovanni, Andrea, Elena.. come il ramo secco che all’estremità vince il buio, e gemma nuovamente.

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