Salmo 1 con il commento di Cristian Messina



Dal libro dei Salmi
Salmo 1 – Le vie del bene e del male (Salmo sapienziale. Didattico morale)

Testo del Salmo
1 Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, 2 ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte. 3 È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene. 4 Non così, non così i malvagi, ma come pula che il vento disperde; 5 perciò non si alzeranno i malvagi nel giudizio né i peccatori nell’assemblea dei giusti, 6 poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti, mentre la via dei malvagi va in rovina.

 

 

 

 

 

 

Canto 
Sorelle Clarisse del Monastero Natività di Maria, Rimini

Musica di sottofondo al commento
Libreria suoni di Garage Band

Meditazione
Cristian Messina

Meditazione
Iniziando con ’alef, prima lettera dell’alfabeto ebraico, il Salmo 1 è una sorta di chiave di lettura dell’intera collezione dei Salmi, in cui due realtà si confrontano: l’uomo giusto e quello ingiusto. Se il primo è paragonato ad un albero rigoglioso, il secondo è invece pula, l’involucro del grano, o di altra pianta in genere, che si stacca durante la trebbiatura e rimane a terra e, se tira il vento, la disperde.. La prima parola, non solo del salmo 1 ma dell’intera collezione dei 150, è beato, «felicità dell’uomo» dice l’originale ebraico, che è tale perché non segue le vie degli empi, termine d’altri tempi per definire i peccatori, o malvagi, o ancor meglio i perversi, letteralmente i “rovesciati”, quelli cioè che vanno dalla parte sbagliata, la strada che conduce all’ingiustizia, appunto. Felicità, la cui etimologia greca è “produco, faccio essere, genero” (da cui tra l’altro hanno origine anche fecondo e feto), ragion per cui è felice chi porta frutto. Ma come? Crescendo lungo quei «corsi d’acqua» – fuor di metafora, tutto ciò che ci nutre – che rappresentano la sola condizione affinché una pianta possa crescere per poter donare i propri frutti. Meditare la Legge del Signore “lungo i corsi d’acqua” è la via del saggio, di ogni saggio, capace di tendere l’orecchio al sussurro divino che lo chiama: «I fiumi sacri in cui l’uomo si è bagnato per prendere contatto con il sacro – scrive Ernesto Balducci nel suo capolavoro, L’uomo planetario – non sono (però) soltanto il Tevere e il Giordano. La sapienza fiorita lungo il Nilo, l’Eufrate, l’Indo, il Gange.. è rimasta per gran parte estranea al flusso della storia che ci ha modellato..». Detto altrimenti, la felicità di ogni persona saggia, qualunque sia la sua provenienza, credo e quant’altro, sta nel porre ascolto a quella Sapienza che anima i Salmi stessi. Chi non lo fa sceglie, al contrario, di battere la via dei peccatori, i maldicenti, come traduceva il poeta e teologo David Maria Turoldo, e di sedersi, terminato questo infausto cammino, in compagnia degli arroganti, per il testo ebraico gli sbeffeggianti, coloro che si prendono in giro l’un l’altro. Ma compagni, quelli cioè che “mangiano lo stesso pane”, non possono essere tali se sono tra loro divisi: che pane condivideranno mai?! Ecco perché compiacersi nella legge del Signore, “mormorandola nel cuore”, per dirla ancora col Turoldo, meditandola come faceva Maria, la Symballousa – stando al greco utilizzato da Luca – la donna simbolica, colei che tentava di “tenere insieme” (come il simbolo), ciò che insieme, umanamente, non poteva stare! «Il primo salmo pone e risolve – diceva il monaco benedettino Paolo Beltrame Quattrocchi (figlio della prima coppia beatificata dalla Chiesa) – il problema fondamentale dell’uomo: dov’è la felicità? La risposta divina è limpida e categorica: beato è l’uomo che fa il bene, che fonde la sua volontà con quella di Dio». E come si fa a “fondere” la nostra volontà con quella del Signore? Meditando la sua legge, ascoltando cioè assiduamente la sua parola, al punto da farla diventare la nostra, perché la Parola è “per noi”: una parola inascoltata sarebbe infatti un suono che cade nel nulla. Ma ce lo siamo dimenticati.. «Beato l’uomo che retto procede – traduceva un celebre canto del passato –, e non entra a consiglio con gli empi, e non va per la via dei peccatori, nel convegno dei tristi non siede». Già, il “convegno dei tristi”, espressione che da ragazzino mi ha sempre fatto sorridere, eppure traduce una grande verità: chi non ascolta il proprio cuore, chi non presta orecchio alla Parola di Dio, rischia seriamente di vivere una vita triste. Che fare allora? Riporre la nostra gioia, stando sempre alle parole del già citato canto, «nella legge del Signore», scrivendola sulle porte, come fanno i fratelli ebrei con la Mezuzah, oggetto contenente una pergamena in cui è scritta la prima parte dello Shemà, “Ascolta”, preghiera recitata due volte al giorno, al mattino e alla sera, come a dire che la Parola del Signore è ciò che deve guidare non solo l’inizio e la fine della nostra giornata, ma dell’intera vita. Una Parola, insomma, di cui fidarci. Credere in Dio, in fondo, non è nient’altro che questo: vedere plasmata la nostra vita, non dalla paura ma dalla fiducia. Il primo salmo ci chiede allora di fare la nostra scelta, allo stesso modo in cui il gatto dietro a Giuda, nel celebre affresco del Ghirlandaio di san Marco a Firenze, sembra interrogare lo spettatore: “Proprio tu, sì, tu che stai guardando: da che parte scegli di stare, con Giuda o con gli Undici?”. «Chi non è con me è contro di me» (Lc 11,23), dirà Gesù. Non a caso, durante la sesta domenica del Tempo Ordinario (anno C), la Chiesa ci propone come letture Geremia (17,5-8), che contrappone l’uomo maledetto a quello benedetto, il Salmo 1, delle “due vie” appunto, la 1Corinzi (15,12.16-20), che ci mostra la risurrezione come spartiacque, e il capitolo 6 di Luca (6,17.20-26), dove ai quattro «beati..» fanno da contraltare altrettanti «guai». La Parola ci invita quindi ad essere “eleganti”, dal latino eligo, “scelgo”, un abito, certo, ma non esteriore. L’ultima lettera del salmo e dell’alfabeto ebraico è invece la tau, celebre per la sua elezione da parte di Francesco d’Assisi, dal quale in poi è diventata simbolo multiforme: dalla croce di Cristo al sigillo che i 144.000 salvati dell’Apocalisse portano sulla fronte, richiamando Ezechiele (9,4ss). L’ultimo capitolo dell’ultimo libro della Bibbia ci ricorda inoltre che «In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni. E non vi sarà più maledizione» (22,2-3). Il primo salmo è allora un alfabeto morale, prototipo di ogni scelta che l’essere umano ha compiuto, sta compiendo e compirà nella storia.  

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