Giovanni 14,23-29: "Docilità paziente...". (Commento di don Marco Casadei)



Parola del Signore
Dal vangelo secondo Giovanni 14,23-29

Testo del Vangelo
In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

Recita
Sabrina Boschetti

Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale con chitarra di Gabriele Fabbri

Meditazione
Don Marco Casadei

Meditazione
Vi lascio la pace, vi do la mia pace.
La docilità paziente con cui Gesù il figlio dell’uomo si lascia istruire nella sua esistenza dalla verità di Dio lungo la traversata dell'umano, esige da parte sua una presa di posizione nei confronti della violenza. Essa infatti fin dall’“in-principio” incombe minacciosa sulle sorti del mondo e sulla bellezza dei legami in esso goduti. Con la stessa mansueta forza che dal nulla chiama ogni cosa all’esistenza, il principe della pace si è lasciato violare, dischiudendo irrevocabilmente fonti di acqua viva, le sorgenti della pace dal bel mezzo del suo seno squarciato. Le energie miti che rendono saldo il mondo hanno il potere di reggere l’impossibile urto della violenza che tenta con maliziosa ossessione di prevalere come logica gerarchizzante dell’umana società , questo è inescusabile ed è perverso quando accade nel nome di Dio, il Dio della pace.

 

Introduzione generale ai commenti pasquali
I commenti al Vangelo quotidiano - che sono nati originariamente come testi di lettura per la meditazione (non dunque in prima battuta per essere ‘ascoltati’) - seguono un duplice filo conduttore: da una parte, direttamente, cercano di sviluppare, in modo sintetico e puntuale, una riflessione al singolo brano evangelico proposto per la preghiera liturgica di ogni giorno. Dall'altra parte tuttavia, e in misura indiretta, ogni commento si lega e suppone quelli che lo precedono e seguono - come accade nella narrazione di una storia unica.

Ciò che pertanto viene a rappresentarsi è un racconto unitario formato da piccoli paragrafi, che cercano di dare parola ad una semplice idea di fondo: il figlio dell'uomo, titolo con cui Gesù stesso nei vangeli si lascia individuare, è il protagonista della narrazione. Egli procede verso il compimento della sua missione, al cuore della quale si fa progressivamente evidente la sua più propria coscienza filiale: mai trattenuta per se stesso come fosse tesoro geloso (Fil 2,6), diviene frutto maturo - sovrabbondante, bello e buono, da condividere con i fratelli e le sorelle, con coloro che non sono più servi ma amici e amiche (Gv 15,5.7s.11.15).

Il figlio dell’uomo quotidianamente si dispone in favore di una maturazione fondamentale: quella della sua propria identità filiale (umana-e-divina), lasciando liberamente che possa venire “aggiornata”, non da ultimo nel riconoscimento che accade lungo la serie di incontri imprevisti e imprevedibili (per Gesù in primis). A Gesù, nominato sovente nel corso dei commenti anche col titolo di “principe mite/della pace” (dal profeta Isaia), certo non difettano i requisiti del discepolo. Anzi, egli “ogni giorno fa teso il suo orecchio” (Is 50,4), facendo emergere la forma caratteristica e singolare del suo essere maestro: quella di colui che si apre all’arte quotidiana dell’“apprendimento” (Gv 5,19s; 8,26-29.38), trasmettendo anzitutto visibilmente e in modo vivibile il suo stile discepolare, da cui solo sgorga la possibilità di essergli effettivamente discepolo/a (cfr. Gv 13,12-17; Lc 6,40; 22,25-27).
Attraverso un ascolto e uno sguardo profondi, Gesù (ma non scevri, anche in lui, da autentiche resistenze: cfr. Mc 7,24ss), si lascia sorprendere (Mc 10,15) dalla sempre nuova s-coperta di una traccia costante: quella di una presenza paterna misteriosamente disseminata lungo i suoi giorni (Mt 6,25ss).

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