Giovanni 15,9-17: "Vi ho chiamato amici...". (Commento di don Marco Casadei)



Parola del Signore
Dal Vangelo secondo Giovanni 15,9-17

Testo del Vangelo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Recita
Massimo Alberici

Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale con chitarra di Gabriele Fabbri

Meditazione
Don Marco Casadei

Meditazione
Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici.
Credo si possa definire un frutto straordinario quello di essere posti al limite della legge, lì dove essa giunge al suo bordo ultimo. Il Figlio dell'uomo infatti per amore dell'umano che ha irrevocabilmente scelto di convocare nell’amicizia e nella fraternità, per Gesù, appunto, il figlio dell’uomo, lui stesso non disdegna di mettere a repentaglio la sua stessa vita e, con essa, addirittura l’appartenenza all’ordine divino che l’immutabilità del codice sacro utilizzato da noi uomini regola in modo intransitivo e univoco, per intenderci nel modo per cui Dio è Dio e si protegge dall'umano peccatore nella sua inaccessibile sacralità, nella sua separatezza assoluta. Egli, Gesù, lascia che la legge trovi nell’estensione messianica del suo proprio tempo il disinnesco del proprio potenziale di condanna. Resa inoperosa la legge e quindi la trappola verso altri, ma non verso se stesso, operando in modo che, in ogni tempo, sorga e fruttifichi quella santità ospitale che il Messia ha reso disponibile per ciascuno.

Introduzione generali ai commenti pasquali
I commenti al Vangelo quotidiano - che sono nati originariamente come testi di lettura per la meditazione (non dunque in prima battuta per essere ‘ascoltati’) - seguono un duplice filo conduttore: da una parte, direttamente, cercano di sviluppare, in modo sintetico e puntuale, una riflessione al singolo brano evangelico proposto per la preghiera liturgica di ogni giorno. Dall'altra parte tuttavia, e in misura indiretta, ogni commento si lega e suppone quelli che lo precedono e seguono - come accade nella narrazione di una storia unica.
Ciò che pertanto viene a rappresentarsi è un racconto unitario formato da piccoli paragrafi, che cercano di dare parola ad una semplice idea di fondo: il figlio dell'uomo, titolo con cui Gesù stesso nei vangeli si lascia individuare, è il protagonista della narrazione. Egli procede verso il compimento della sua missione, al cuore della quale si fa progressivamente evidente la sua più propria coscienza filiale: mai trattenuta per se stesso come fosse tesoro geloso (Fil 2,6), diviene frutto maturo - sovrabbondante, bello e buono, da condividere con i fratelli e le sorelle, con coloro che non sono più servi ma amici e amiche (Gv 15,5.7s.11.15).

Il figlio dell’uomo quotidianamente si dispone in favore di una maturazione fondamentale: quella della sua propria identità filiale (umana-e-divina), lasciando liberamente che possa venire “aggiornata”, non da ultimo nel riconoscimento che accade lungo la serie di incontri imprevisti e imprevedibili (per Gesù in primis). A Gesù, nominato sovente nel corso dei commenti anche col titolo di “principe mite/della pace” (dal profeta Isaia), certo non difettano i requisiti del discepolo. Anzi, egli “ogni giorno fa teso il suo orecchio” (Is 50,4), facendo emergere la forma caratteristica e singolare del suo essere maestro: quella di colui che si apre all’arte quotidiana dell’“apprendimento” (Gv 5,19s; 8,26-29.38), trasmettendo anzitutto visibilmente e in modo vivibile il suo stile discepolare, da cui solo sgorga la possibilità di essergli effettivamente discepolo/a (cfr. Gv 13,12-17; Lc 6,40; 22,25-27).
Attraverso un ascolto e uno sguardo profondi, Gesù (ma non scevri, anche in lui, da autentiche resistenze: cfr. Mc 7,24ss), si lascia sorprendere (Mc 10,15) dalla sempre nuova s-coperta di una traccia costante: quella di una presenza paterna misteriosamente disseminata lungo i suoi giorni (Mt 6,25ss).

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