1-2 Maccabei: Introduzione



Introduzione al primo e secondo libro dei Maccabei
I due libri dei Maccabei traggono il loro nome da uno dei protagonisti, Giuda Maccabeo, dal soprannome aramaico maqqabà, “martello”, dato al terzo figlio del sacerdote Mattatia, l’altro co-protagonista. Il nome passò poi, per estensione, a designare tutti coloro che, assieme alla famiglia, presero parte alla rivolta maccabaica, appunto. La tradizione letteraria giudaica, tuttavia, preferisce parlare di Asmonei, dinastia che detenne il potere regale e il sommo sacerdozio fino all’avvento del celebre Erode il Grande, nel 37 a.C. Ma facciamo un indispensabile passo indietro, ripercorrendo a grandi linee la storia di quell’epoca: nel 336 a.C. Alessandro Magno divenne sovrano della Grecia, succedendo al padre Filippo II di Macedonia e creando un impero vastissimo, capace di espandere la cultura greca fino al punto di, fondendosi con quelle orientali, originare quel fenomeno che si è soliti chiamare ellenismo (dal latino Hellen, nome che originariamente designava una popolazione della Tessaglia meridionale, e che poi i Greci hanno dato a sé stessi) ovvero il periodo storico-culturale che va da Alessandro Magno alla nascita formale dell’Impero Romano. Morto Alessandro (323 a.C.) l’impero fu diviso tra i suoi generali, i Diadochi (dal greco “successori”). Per un centinaio di anni i nuovi padroni rispettarono le tradizioni d’Israele, ma nel 197, quando il paese passò nelle mani della dinastia seleucide, tutto cambiò: il neosovrano volle imporre ai sudditi cultura e usi greci, proibendo agli ebrei di praticare la loro religione. Ma ciò che scatenò il putiferio fu la profanazione del Tempio della Città Santa, ad opera di Antioco IV Epifane (dal greco “splendido, illustre”), il quale nel 168 lo saccheggiò, collocandovi la statua del dio greco Zeus, dedicandolo di fatto all’equivalente romano Giove Olimpo. L’oltraggio generò le reazioni più disparate: se alcuni scelsero la fuga, altri si dettero ad una resistenza passiva, altri infine intrapresero una rivolta armata, guidata dalla famiglia del già citato Mattatia che, prima fuggì sui monti, per poi organizzarsi fino a conquistare Gerusalemme e purificare il Tempio. Una delle più importanti feste ebraiche, Hanukkàh (dall’ebraico “dedicazione, consacrazione”), celebrata per otto giorni tra dicembre e gennaio e caratterizzata dall’accensione progressiva di una lampada al giorno (ragion per cui è chiamata anche Festa delle luci), ricorda appunto questo avvenimento. Ma come si è giunti da questa resistenza all’occupazione romana che avverrà di lì a poco? Giuda Maccabeo, al tempo prese contatti con Roma (cfr. 1Mac 8), cercandovi un appoggio per i suoi scopi. Morto in battaglia, la rivolta e l’appoggio romano proseguirono sotto la guida dei fratelli: Gionata prima e Simone poi, con l’assassinio del quale – nel 134 a.C. ad opera del genero Tolomeo – si chiude il racconto dei due libri, che però non sono in continuità tra loro. Ma proviamo a trattarli disgiuntamente. Il primo, opera forse di un dotto giudeo di Gerusalemme, che avrebbe scritto intorno al 134 a.C., narra quanto avviene grossomodo dal 175 al 135 a.C., quarantina d’anni che va dall’avvento di Antioco Epifane alla morte di Simone Maccabeo (fondatore della suddetta dinastia giudaica degli Asmonei). Appartenente ad un genere letterario “storico”, simile al nostro attuale modo di scrivere – fedele cioè alla precisione cronologico-geografica di quanto avvenuto – opera tuttavia in chiave prettamente religiosa. Si tratta di una trilogia che narra rispettivamente le gesta dei tre fratelli Maccabei, in successione: Giuda (3,1-9,22), Gionata (9,23-12,53) e Simone (13,1-16,22), tre parti anticipate da un’introduzione storica (1,1-2,70) e seguite da un epilogo (16,23-24). Il secondo, invece, non solo è stato scritto prima, ma narra quanto accaduto tra il 175 e il 160 a.C., essendo piuttosto una presentazione particolare di quanto già scritto nel primo, e costituisce il riassunto anonimo (siamo a poco dopo il 124 a.C.) di un’opera in cinque libri redatta da un tale di nome Giasone di Cirene (cfr. 2,23). Il testo, che descrive la storia maccabaica come una “storia della salvezza”, è così divisibile: due lettere, indirizzate dai Giudei di Gerusalemme ai correligionari residenti in Egitto, lo introducono (1,1-2,18); segue il prologo (2,19-32) del corpo del libro (3,1-15,36), che ha come centro la purificazione del Tempio (10,1-8). Un brevissimo epilogo chiude il tutto (15,37-39). Ciò che accomuna i due testi è invece il fatto che siano stati trasmessi in greco, ragion per cui sono stati esclusi sia dal canone ebraico sia da quello delle Chiese protestanti, che ad esso si attiene, anche se Lutero si rammaricò che 1Maccabei non fosse canonico.. In ambito cattolico la questione è stata definita molto tardi, col Concilio di Trento (1545-1563). In ogni caso, se la lingua originale del secondo libro è il greco, il primo è stato tuttavia scritto in ebraico. Tirando le somme, cos’hanno da dire questi due libri a noi, oggi? Da un punto di vista religioso questi “martelli” – sorta di partigiani ante litteram – difendono il Tempio e la Legge dalla cultura ellenistica (il Tempio e il tempo, potremmo dire, o meglio lo spazio e il tempo), costituendo un esempio mirabile di patriottismo, volto a salvaguardare la propria identità, cultura e fede. Ma qual è la patria (letteralmente la “terra dei padri”) dei cristiani? Quale il loro Tempio? E quale Legge li “regola”? Ma soprattutto, chi è oggi lo “straniero” che minaccia la nostra identità di figli di Dio? Lasciamo ad ognuno la propria risposta.. sta di fatto che i due libri dei Maccabei sono cari alla tradizione cristiana (che per questo li ha conservati nel suo canone biblico) per diverse ragioni. Anzitutto l’esempio di martirio che ne danno: l’anziano Eleàzaro, che preferisce morire piuttosto che dare il cattivo esempio ai giovani (2Mac 6,18-31) è una figura attuale quanto meravigliosa! Che dire, poi, dell’esempio eroico offerto dalla madre dei sette fratelli (2Mac 7,1-42), che li esorta a non cedere alle pretese del re che li tentava nella loro fede? Fratelli che, morti forse ad Antiochia di Siria, hanno visto il loro culto espandersi rapidamente in tutto l’Occidente, fino alle porte di Roma, città in cui si trovano le loro reliquie, nella cripta della basilica di San Pietro in Vincoli. Oltre al martirio, i due libri costituiscono le fondamenta bibliche per la preghiera per i defunti (2Mac 12,41-46) e l’intercessione dei santi (2Mac 15,12-16). Non solo, «facendo dire alla madre dei sette martiri che Dio ha fatto il cielo e la terra, e tutto ciò che vive in essi, dal nulla (2Mac 7,28)» – precisa la Bibbia TOB – , l’autore del secondo libro dei Maccabei, da una parte si riallaccia alla creazione ex nihilo (cioè “dal nulla”) di Genesi, dall’altra anticipa il Nuovo Testamento (cfr. Col 1,15ss e Gv 1,3). Ma, soprattutto, si parla del centro della fede cristiana: quella risurrezione dei morti (2Mac 7,9; 14,46) che ci sarà donata da Gesù e dal suo martirio..                

Recita
Cristian Messina

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