2Corinzi 9,6-11 con il commento di Maria Angela Magnani



Dalla seconda lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi
2Cor 9,6-11

Testo del brano 
Fratelli, tenete presente questo: chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia. Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene. Sta scritto infatti: «Ha largheggiato, ha dato ai poveri, la sua giustizia dura in eterno». Colui che dà il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, darà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia. Così sarete ricchi per ogni generosità, la quale farà salire a Dio l’inno di ringraziamento per mezzo nostro.

 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Spence. Hovering Thoughts. Diritti Creative Commons

Meditazione
Maria Angela Magnani

Meditazione
Ai Corinti che, almeno in una prima fase, si dimostrano più generosi ad invitare gli altri a donare che a metterne in pratica l’esigenza, Paolo si rivolge facendo ricorso alla sapienza contenuta nell’Antico Testamento. Questo brano è infatti non solo lo specchio, attraverso cui sono riflesse l’abilità letteraria e la forza di convincimento dell’Apostolo, ma è anche una intessitura di citazioni, esplicite ed implicite (dai Salmi, ma soprattutto dal Libro dei Proverbi), ricomprese a partire dalla situazione attuale in cui vive la comunità greca. Abbondanza, ricchezza, raccolto sono infatti parole centrali di questo brano della Lettera. Paolo, esortando ad essere magnanimi ed a elargire con generosità, sembra attualizzare il seguente passo veterotestamentario: «C’è chi largheggia e la sua ricchezza aumenta, c’è chi risparmia oltre misura e finisce nella misera» (Pro 11,24). Espressione che fa da filo conduttore del suo ragionamento, diretto a mettere a fuoco una sorta di legge (del regno del paradosso, più che di quello della matematica): se si vuole ricevere il “di più” della gioia occorre imparare a dare con altrettanta sovrabbondanza. Riecheggia un’altra espressione, ancor più nota, perché Paolo la indica proveniente dallo stesso Signore: «vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35). Seppure non sia riportata da nessuno dei quattro Vangeli canonici, questa frase non è in verità estranea al nocciolo vibrante della predicazione di Gesù e del suo modo di vivere la realtà del Regno di Dio. La si potrebbe ritenere quasi una sintesi estrema del vangelo, e la si potrebbe commentare nel modo seguente: “mostrami il tuo dare e vedrò come (e cosa) hai ricevuto”. Dare e ricevere sono in fondo come due facce della stessa medaglia: se si ritiene, anche inconsciamente, che tutto sia dovuto (la vita, i beni, gli affetti, il vangelo, la fede, la felicità, la salvezza..), allora il ricevere ha già assunto i tratti del guadagno meritato per gli sforzi fatti (cfr. Mt 6,2.5.16). Ma una tale “ricompensa” non si può che trattenere per sé, un possesso da difendere contro le pretese degli altri. Il dare a questo punto è solo questione di superfluo. In questo modo però il vangelo inaridisce, si secca e diventa una “cosa” posseduta fra le altre, finendo per non portare il frutto genuino più atteso, quello della gioia. Eppure il vangelo può e vuole essere ricevuto in un altro modo. La rivelazione di questo modo “altro” ci è consegnata per sempre nel racconto evangelico della vedova, che getta nel tesoro del tempio due spiccioli, ossia tutta quanta la sua vita (cfr. Mc 12,41-44)! Nello stile del suo dare si mostra dunque un radicale non attaccamento, nemmeno a ciò che le permetterebbe un sacrosanto e già precario sostentamento. Ridicendolo ancora con una parola evangelica: «gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Ed è sorprendente come Gesù stesso si senta discepolo, assieme ai suoi discepoli: il gesto di quella donna è capace di generare la vera libertà, che edifica e nutre il Messia. Poiché vi è una potenza inaudita racchiusa in quella semplicità: quella del Padre, che dà la vita in modo sovrabbondante. Si mostra pertanto fondamentale l’importanza di un evangelico “ricevere”. Se cioè si è maldisposti nel ricevere, anche al dare non potrà che seguire un destino di tristezza (cfr. Mc 10,22).

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