Giovanni 15,9-11: "Dimorare...". (Commento di don Marco Casadei)



Parola del Signore
Dal Vangelo secondo Giovanni 15,9-11

Testo del Vangelo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».

Recita
Massimo Alberici

Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale con chitarra di Gabriele Fabbri

Meditazione
Don Marco Casadei

Meditazione
Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Per dimorare occorre accedere a quel medesimo sentire che il figlio dell’uomo, il primogenito dai morti, ha acceso tra le sorelle e i fratelli suoi. Solo da figli e figlie, infatti, possono essere abitati e goduti gli affetti paterni. E l’umano tutto sa di essere giunto nel tempo della sua maturazione esattamente in quei giorni, allorché, volgendosi all'origine del proprio vivere non trovasse più alcun motivo per posizioni prossime alla fuga, o per una vera propria, intima disaffezione delle cose di Dio. Allora, per l'uomo e la donna a cui si è dischiusa in Gesù la beatitudine della filialità in rapporto a Dio, repentina, sorgerebbe la stella, che muove in festosa gratitudine e conduce alla magìa dell’amore: sì l'amore,“una lingua che i sordi possono udire; una canzone al cui suono gli storpi possono ballare! E un tramonto che i ciechi possono vedere” (M. Fontaìne).

Introduzione generale ai commenti pasquali
I commenti al Vangelo quotidiano - che sono nati originariamente come testi di lettura per la meditazione (non dunque in prima battuta per essere ‘ascoltati’) - seguono un duplice filo conduttore: da una parte, direttamente, cercano di sviluppare, in modo sintetico e puntuale, una riflessione al singolo brano evangelico proposto per la preghiera liturgica di ogni giorno. Dall'altra parte tuttavia, e in misura indiretta, ogni commento si lega e suppone quelli che lo precedono e seguono - come accade nella narrazione di una storia unica.
Ciò che pertanto viene a rappresentarsi è un racconto unitario formato da piccoli paragrafi, che cercano di dare parola ad una semplice idea di fondo: il figlio dell'uomo, titolo con cui Gesù stesso nei vangeli si lascia individuare, è il protagonista della narrazione. Egli procede verso il compimento della sua missione, al cuore della quale si fa progressivamente evidente la sua più propria coscienza filiale: mai trattenuta per se stesso come fosse tesoro geloso (Fil 2,6), diviene frutto maturo - sovrabbondante, bello e buono, da condividere con i fratelli e le sorelle, con coloro che non sono più servi ma amici e amiche (Gv 15,5.7s.11.15).

Il figlio dell’uomo quotidianamente si dispone in favore di una maturazione fondamentale: quella della sua propria identità filiale (umana-e-divina), lasciando liberamente che possa venire “aggiornata”, non da ultimo nel riconoscimento che accade lungo la serie di incontri imprevisti e imprevedibili (per Gesù in primis). A Gesù, nominato sovente nel corso dei commenti anche col titolo di “principe mite/della pace” (dal profeta Isaia), certo non difettano i requisiti del discepolo. Anzi, egli “ogni giorno fa teso il suo orecchio” (Is 50,4), facendo emergere la forma caratteristica e singolare del suo essere maestro: quella di colui che si apre all’arte quotidiana dell’“apprendimento” (Gv 5,19s; 8,26-29.38), trasmettendo anzitutto visibilmente e in modo vivibile il suo stile discepolare, da cui solo sgorga la possibilità di essergli effettivamente discepolo/a (cfr. Gv 13,12-17; Lc 6,40; 22,25-27).
Attraverso un ascolto e uno sguardo profondi, Gesù (ma non scevri, anche in lui, da autentiche resistenze: cfr. Mc 7,24ss), si lascia sorprendere (Mc 10,15) dalla sempre nuova s-coperta di una traccia costante: quella di una presenza paterna misteriosamente disseminata lungo i suoi giorni (Mt 6,25ss).

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