La Bibbia: I Vangeli sinottici



I Vangeli sinottici
Chi è Gesù? Ognuno di noi potrebbe darne risposta, e questo in base alla conoscenza che ne ha fatto: chi gliene ha parlato, cosa ha letto, dove ha sentito la sua “voce” per la prima volta, ecc.. È infondo quanto accaduto ai quattro evangelisti, che ce lo raccontano. Tre di essi, tuttavia, ce lo narrano in modo molto simile tra loro, al punto che dal XVIII secolo sono stati chiamati “sinottici”, a partire da un’opera intitolata appunto Sinossi, dal greco synopsìs, “sguardo d’insieme”, perché l’opera ebbe l’intuizione di disporli uno accanto all’altro, su tre colonne, al fine di mostrarne la reciproca somiglianza. Matteo, Marco e Luca sono infatti molto simili, a differenza di Giovanni che, per diverse ragioni, differisce dai tre. La domanda nasce allora spontanea: che dipendenza c’è tra loro o, in parole semplici: chi è stato il primo a “scrivere” e chi invece ha “copiato”? La risposta non è semplice – tant’è che è stata denominata “questione sinottica” – , ma proviamo a spiegarla come segue: il primo a scrivere, o meglio a redigere (poiché non si tratta di semplici “segretari”, ma di persone che ci hanno messo del loro nella stesura dello scritto) è stato Marco – non a caso il Vangelo più corto! – , ma Matteo e Luca si sono serviti almeno anche di un’altra fonte, chiamata dagli specialisti “Q”, dal tedesco Quelle, “fonte”, dato che i migliori in questo campo sono probabilmente gli studiosi tedeschi. Ma cosa contiene questo documento? I “detti” di Gesù, in greco logia. Soffermiamoci per un attimo su questo aspetto: anche se non possiamo provare scientificamente che i Vangeli riproducano gli ipsissima verba Christi, cioè le “parole effettivamente pronunciate da Gesù”, per facilitarne la memorizzazione si ricorreva ad alcune tecniche: non a caso su 247 logia – ritenuti autentici di Gesù – ben 197 sono formulati in modo da essere ricordati facilmente. È la tecnica mnemonica che già si utilizzava per memorizzare la Torah. A parlarci di Gesù sono solo gli evangelisti? Ovviamente no, ma le testimonianze antiche extrabibliche su di lui (su tutte quelle di Plinio il Giovane, Tacito, Svetonio, Giuseppe Flavio e quelle relative alla letteratura rabbinica) sono poche e negative, com’è del resto accaduto per i fondatori di altre religioni. La Costituzione Dei Verbum (nn. 18-19), un documento importantissimo del Concilio Vaticano II, ci suggerisce tuttavia di spostare la nostra sana curiosità altrove: come sono nati i Vangeli? Come si sono successivamente formati? Di che genere letterario si tratta e quale il loro valore storico? Partiamo dall’aspetto più importante, ovvero lo scopo che tali scritti si prefiggono, che è soprattutto quello di nutrire la fede dei destinatari! La necessità di mettere per iscritto nacque quando iniziarono a scomparire gli ultimi testimoni dell’esistenza storica di Cristo, oltre che per il crescente numero di evangelizzatori che andava diffondendo l’annuncio. Diventò quindi necessario fissare le memorie degli apostoli, per conservarle in modo inalterato e per facilitarne la trasmissione. Tre grandi raccolte precedettero la redazione dei Vangeli: anzitutto il racconto della passione-morte-risurrezione (si iniziò cioè dal nocciolo, tecnica utilizzata ad esempio dal regista Mel Gibson per il suo celebre La passione di Cristo); quindi i “detti” di Gesù; infine i “fatti”, materiale raccolto e ordinato da Marco, l’inventore del genere letterario “vangelo”. Questi tre blocchi furono unificati intorno all’anno 70 d.C. Il nome vangelo non è nato tuttavia per indicare il libro (fu infatti il padre della Chiesa Giustino, verso l’anno 150, a designare con questa parola il libro), ma la “Parola” decisiva di Dio all’umanità. Il termine nasce dalla traslitterazione della parola greca euaggélion (pronunciata euánghélion), traducibile con “buona notizia”, di solito connessa con il messaggio di vittoria.. in tempi di guerra, infatti, “abbiamo vinto” era l’unica cosa che si sarebbe voluta ascoltare da quel messo che, tornato dal campo di battaglia, ci annunciava che l’orrore era finito e che, forse, i nostri cari sarebbero tornati sani e salvi. Così nella tradizione ecclesiale vangelo passò ad indicare in primis il kerygma pasquale: l’“annuncio” della risurrezione di Gesù e, con la sua, anche la nostra. In italiano poi, la caduta della lettera “e” (aferesi) ha decretato il passaggio da evangelo a vangelo. Nel Nuovo Testamento – in cui la parola ricorre 76 volte, di cui solo 12 nei Vangeli (4 in Mt, 8 in Mc, mai in Lc e Gv), 2 volte negli Atti e ben 60 in Paolo! – è mutuata da alcuni passi di Isaia (60,6 e 61,1-2) e dal Salmo 96 (96,2ss): la più grande delle notizie non è rivolta solo agli ebrei, ma ad ogni essere umano! Ma torniamo ai Sinottici, tre Vangeli simili eppure differenti.. come mai? Se la Chiesa apostolica aveva in generale bisogni di un certo tipo, le Chiese locali – che andavano via via prendendo corpo – cominciarono ad assumere fisionomie proprie, ragion per cui tra gli scritti iniziarono a delinearsi le inevitabili differenze, accentuate dal fatto che ogni evangelista volle perseguire un “suo” progetto, un modo personale per narrare l’evento Gesù. Se lo scritto di Marco,  la cui origine è probabilmente romana, è da collocare tra il 65-70, quelli di Matteo e Luca lo seguono di quindici-vent’anni, non riflettono il suo stesso ambiente e hanno destinatari diversi. Dunque, per la stessa ragione sarebbe assurdo se disponessimo oggi di Vangeli identici tra loro! Ne perderemmo in qualità, dato che diversità è anzitutto sinonimo di ricchezza. I Vangeli sono formati da quattro grandi parti: la preparazione del ministero di Gesù; lo stesso ministero in Galilea; la salita verso Gerusalemme; infine la passione-morte-risurrezione che ebbe luogo in questa città. All’interno di esse i tre Sinottici si muovono liberamente e in modo fra loro discordante, in funzione del “volto” che ognuno vuol dare di Cristo. Quello stesso volto che l’essere umano di ogni tempo va cercando, spesso senza saperlo..       

   

 


  

         

Recita
Cristian Messina

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Gabriele Fabbri

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