La Bibbia: Pentateuco



Introduzione al Pentateuco
La Bibbia ebraica è chiamata con l’acronimo Tanakh, formato dalle tre lettere (TNK) con cui iniziano le tre parti che la compongono: Torah, “Legge”, Nebi’îm, “I Profeti”, e Ketubîm, “Gli (altri) Scritti”. La prima è tuttavia definita anche Hamisà humsè hattorà, “i cinque quinti della Legge”, modo con cui la versione greca della Bibbia, detta «dei Settanta», chiama il Pentateuco, letteralmente le “cinque teche”, i “cinque astucci” dentro i quali venivano custoditi i testi, sotto forma di rotoli che, uniti, potevano misurare al tempo fino a 33 metri! Insomma non semplici da maneggiare.. La già citata tradizione ebraica chiama ciascuno dei cinque testi con la parola con cui iniziano: Be-re’ shìt, “In principio”; Shemòt, “Nomi”; Wayyiqrà’, “Chiamò”; Bemidbàr, “Nel deserto (sottinteso del Sinai)” e Debarìm, “Parole”. Quella cristiana ha invece dato loro titoli esplicativi: Genesi, “Origine”; Esodo, “Uscita”; Levitico, “libro della tribù sacerdotale di Levi”; Numeri, “Censimenti” e Deuteronomio, “Seconda Legge”. La somma di questi “libri” – in tutto 79.980 parole – rispondono fondamentalmente a due grandi generi letterari: testi narrativi e leggi. Se Mosè è considerato il vero protagonista di questa storia (il Pentateuco è inteso da alcuni anche come “la sua vita”), è perché ne scandisce in qualche modo le cinque tappe salienti, sintetizzate mirabilmente dal Salmo 136: la creazione, i patriarchi, l’esodo, il deserto del Sinai e la terra promessa. Creazione a parte, egli è la guida liberatrice, il mediatore della legge, il custode sia della purezza della religione ebraica, sia della fedeltà ad essa. Eppure nell’ultima tappa, la terra promessa, lui non ci entrerà, compito spettante al suo successore Giosuè, che dà il nome al sesto libro della Bibbia, ragion per cui diversi studiosi parlano di Esateuco, “Sei rotoli”, facendo terminare la storia nella terra di Canaan. Altri autori parlano ancora di Tetrateuco (“Quattro rotoli”), escludendo il Deuteronomio, e perfino di Enneateuco (“Dieci rotoli”), facendo terminare il tutto addirittura all’esilio babilonese! Lo scopo del Pentateuco non è tuttavia storico ma teologico, cerca cioè di mostrare che in quelle vicende s’intrecciano l’azione divina e quella umana. È in tal senso che parliamo di Storia della salvezza, alla cui stesura non fu un solo autore a partecipare, ma un “fiume” composto da tradizioni orali prima e scritte poi, dall’insegnamento di padre in figlio, dalla memoria popolare a partire dai grandi santuari, quelle mete di pellegrinaggio dalle quali si è irradiata la tradizione di tribù in tribù, di clan in clan, di singolo in singolo. Tradizioni religiose e tradizioni letterarie insieme hanno così contribuito alla sua formazione, che ha lasciato almeno quattro tipi di tracce, che gli studiosi nel tempo hanno convenzionalmente chiamato Sacerdotale, Deuteronomista, Iahvista ed Elohista. Se la prima è interessata prevalentemente al culto (è infatti indicata con la lettera P, dal tedesco Priestercodex, “Codice sacerdotale”), la seconda ha a cuore la legge ed è designata nelle varie Bibbie con la lettera D; la terza è chiamata così perché denomina Dio con l’appellativo di YHWH, ed è indicata con la lettera J (sempre secondo l’ortografia tedesca); la quarta infine lo chiama Elohim, ragion per cui il suo segno distintivo è la lettera E. Insomma quattro differenti approcci allo stesso mistero: più psicologico quello Iahvista, maggiormente giuridico e cultuale quello di P, più trascendente quello Elohista, più legato all’amore e all’elezione l’approccio Deuteronomista. Tutto ciò spiega quindi il perché delle diverse incongruenze e ripetizioni sparse qua e là all’interno del Pentateuco. È noto infatti che sono ad esempio due i racconti di creazione (cfr. Gn 1-2), come duplice è l’alleanza che Dio sigla con Abramo (cfr. Gn 15 e 17), come pure le edizioni del Decalogo (cfr. Es 20 e Dt 5); duplice è inoltre il modo di chiamare sia il monte del Signore (Sinai in Esodo e Numeri, Oreb nello stesso Esodo e nel Deuteronomio) sia gli antichi abitanti del paese (Cananei in Genesi, Amorrei in Deuteronomio); tre, addirittura, sono le relazioni della vocazione di Mosè, tutte in Esodo (3,4 e 6). Il Pentateuco è inoltre costellato di leggi, volte a fissare l’identità dell’ebreo e distinguibili in casistiche (impostate cioè sui vari “casi” specifici), apodittiche (perché caratterizzate dal tono imperativo, come «Non uccidere!») e sacrali (in quanto destinate a regolare il culto). Per far fronte alla diaspora poi, ovvero alla “dispersione” del popolo d’Israele, il libro della Legge fu fondamentale: è attorno e grazie ad esso che il popolo eletto poteva rimanere tale, rimanendovi fedele. Se questa lettura può sembrarci un po’ troppo chiusa, ecco venirci in soccorso la prospettiva cristiana: con l’evento Gesù Cristo, e la sua Chiesa, la Parola contenuta nel Pentateuco e la promessa fatta ad Abramo sono rivolti all’intera umanità! Se per gli ebrei il Messia deve ancora venire, per i cristiani Giosuè, colui che entra nella terra, è Gesù stesso: il primo è infatti la forma ebraica del medesimo nome, mentre il secondo quella aramaica. Per tale ragione i Vangeli iniziano sulle rive del Giordano, dove Mosè è morto e dove inizia la missione di Giosuè. Gesù è colui che ci fa attraversare il Giordano per entrare nel Regno. Lo stesso Nuovo Testamento ha, come il Pentateuco, una struttura aperta: si conclude con un appello al Messia affinché torni. Se per gli ebrei deve ancora venire, per i cristiani invece deve tornare. Tutti viviamo nella speranza, che è infondo l’ultima vera parola del Pentateuco. 

                 

 

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