Amos: Introduzione



Introduzione al libro del profeta Amos
L’VIII secolo a.C. ci presenta due grandi profeti: Osea e Amos, vissuti entrambi nel regno del Nord, in Israele. Il secondo però, a differenza del primo, non è originario di quelle zone, abitava infatti a Tekoa, un villaggio vicino a Betlemme, dunque nel regno del Sud,  quello di Giuda, dove faceva il pastore. Ma Dio lo manda al Nord, una decina di anni prima di Osea, per denunciare la corruzione che dilaga in quella terra, governata in quel momento da Geroboamo II. 
Amos, terzo tra i dodici profeti cosiddetti minori, e il cui nome richiama in ebraico il verbo portare (forse la forma abbreviata di Amosya), cioè “Il Signore ha portato”, è tra l’altro il più antico dei profeti scrittori, quelli cioè che hanno lasciato uno scritto che porta il loro nome, a differenza dei profeti che invece, come ad esempio Elia, non hanno scritto nulla. Con la sua opera egli inaugura dunque una nuova pagina biblica. Tali testi, però, sono normalmente non opera dei profeti stessi, quanto piuttosto dei loro discepoli. Alcuni passi, tuttavia, possono provenire direttamente dalla loro “penna” (ad esempio le visioni dei capitoli 7,8,9). 
La situazione dell’epoca in cui Amos profetizza è caratterizzata da diversi fattori: sul piano politico incombe la minaccia assira, della quale tuttavia pochi sembrano accorgersene; su quello economico, gli scambi con l’estero hanno accentuato la differenza tra ricchi e poveri (a Samaria soprattutto, capitale del regno del Nord, viene sfoggiato un lusso che umilia i meno abbienti); l’aspetto religioso, infine, si caratterizza per un culto smisurato e pomposo.
Ed è proprio all’interno di questo quadro generale che sale alta la protesta di Amos, la cui missione – nata da una chiamata, quasi un appello militare (cfr. 3,8) – ha una grande portata “ecumenica”, diremmo oggi, un cittadino del Sud a cui viene conferito l’incarico di predicare al Nord, e tra le due zone non correva buon sangue, anzi! È come se, per fare un paragone attuale non troppo azzardato, un pastore protestante fosse inviato a profetizzare in terra cattolica, o un prete cattolico in ambito ortodosso, e via dicendo. 
Con molta probabilità Amos svolse il suo ministero per un tempo abbastanza ridotto, forse solo di qualche mese, precisamente tra la snob Samaria e Betel (“casa di Dio”), luogo in cui era situato il principale santuario del regno del Nord, edificato al tempo dello scisma tra i due regni proprio per rivaleggiare col santuario di Gerusalemme. Ministero che fu interrotto dal sommo sacerdote di Betel, Amasia, che denunciò Amos al re espellendolo in quanto destabilizzatore dell’ordine pubblico. Ma il profeta prima di tornarsene a casa ripete il suo duro messaggio: «Tua moglie diventerà una prostituta nella città, i tuoi figli e le tue figlie cadranno di spada, la tua terra sarà divisa con la corda in più proprietà; tu morirai in terra impura e Israele sarà deportato in esilio lontano dalla sua terra» (7,17). Quanti Amos servirebbero oggi, invece nessuno destabilizza più, o meglio, forse fatichiamo più che mai a lasciarci destabilizzare dalla Parola scomoda.. 
Per quanto riguarda le sue capacità letterarie, spesso messe in discussione, Amos non è lo sprovveduto di turno, né un rozzo “scrittore”, sa usare infatti sottigliezze di vario tipo, e giocare con l’ironia pur rimanendo sobrio. 
Il libro, che si apre con un prologo e si chiude con un oracolo (responso divino che prevede eventi futuri), si divide fondamentalmente in tre parti: ad una sequenza di oracoli contro le sette nazioni confinanti con Israele (1,3-2,16) ne seguono altri contro Israele stesso (cc. 3-6), per finire con cinque visioni (cc. 7-9).    
Il Dio di cui ci parla è quello che allo stesso tempo punisce e, punendo, vuole salvare. Un Dio geloso che si lascia commuovere dalla preghiera umana. Un Dio che, tradito innumerevoli volte, non smette di chiamare alla conversione.        

Recita
Cristan Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

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