La Bibbia: Introduzione generale



Introduzione alla Bibbia
«In principio Dio creò il cielo e la terra». . (Gn 1,1) con queste parole si apre il libro più posseduto e tradotto al mondo (oltre 2.000 traduzioni), ma anche il meno letto (cristiani compresi), il cui nome deriva dal termine greco tà Biblia, “i libri”: se nella sua versione cattolica ne comprende 73 (i 46 dell’Antico Testamento uniti ai 27 del Nuovo), quella protestante ne conta un po’ meno, includendo nell’Antico Testamento solo 39 libri, sulla scia della Bibbia ebraica. La parola Testamento traduce “patto, alleanza”: la prima delle quali è stata stabilita tra Dio e gli uomini sul monte Sinai e per mezzo di Mosè, la seconda invece sul Golgota, per mezzo di Gesù.
Se nei primi manoscritti la Bibbia si presenta senza spaziature, dal 1226 viene introdotta la divisione in capitoli, ad opera dell’arcivescovo di Canterbury Stephen Langton, mentre nel 1541 il merito di introdurre i versetti fu di Sante Pagnini, un ebreo di Lucca convertitosi al cristianesimo, diventato poi domenicano. L’opera fu quindi completata dall’impressore Robert Estienne, dieci anni dopo. Nel 1560 vide la luce la cosiddetta Bibbia di Ginevra, la prima interamente divisa in capitoli e versetti, che adottò le invenzioni di Langton ed Estienne. Se oggi possiamo accedere facilmente da un passo all’altro.. lo dobbiamo a loro! 
Per quanto riguarda il suo periodo di composizione, va dal 900 circa a.C. al 50 a.C. (Antico Testamento), e più o meno dal 50 d.C. al 100 d.C. (Nuovo Testamento). Nel complesso dal 900 a.C. al 100 d.C., comprendendo quindi l’arco di un millennio. Il dato non è da sottovalutare: è come se oggi disponessimo di un libro che narra gesta, usi e costumi, modi di pensare e di dire, ecc.. che vanno dall’anno 1.000 a oggi: quanta diversità ci troveremmo dentro?! La Bibbia è scritta in tre lingue: l’AT è prevalentemente in ebraico (che conosce 22 consonanti e nessuna vocale), lingua propria dei popoli seminomadi rimasta poi come lingua sacra, propria delle funzioni religiose, con alcune parti in aramaico, quella parlata da Gesù, e che intorno al VI sec. a.C. ha soppiantato nell’uso comune l’ebraico. Il NT è scritto invece in greco, diffuso in Oriente con le conquiste di Alessandro Magno e divenuto poi la lingua delle persone colte, per il bacino del Mediterraneo un po’ l’inglese di oggi, diverso però da quello classico e più simile alla lingua parlata, conosciuta come koiné, “comune”, contenente molte costruzioni di stampo semitico. Se oggi abbiamo la fortuna di poterla leggere sullo smartphone e sul tablet (o di ascoltarla su Pregaudio), in passato i supporti erano diversi: prima il papiro (le foglie di questa pianta), poi le pelli animali (soprattutto pecore), chiamate pergamene, dal nome della città di Pergamo, dove pare sia stato scoperto questo metodo. Se i testi antichi avevano la forma di rotoli (fogli cuciti fra loro attorno ad un bastone), a partire dal I sec. d.C. le chiese cristiane preferirono il codice, cioè un volume in cui i singoli fogli erano messi uno sopra l’altro, ovvero il moderno libro, diffusosi grazie all’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte del tipografo tedesco Johannes Gutenberg, che nel 1450 stampò come primo “codice” della storia proprio la Vulgata, cioè la Bibbia tradotta in latino – dalle lingue originali già viste – ad opera di san Girolamo. Nella sacra Scrittura sono presenti ovviamente diversi generi letterari, cioè tecniche espressive come racconti didattici, parabole, similitudini, inni, preghiere, discorsi, lettere, racconti storici, genealogie, i salmi, ecc.. la cui funzione è quella di comunicare un preciso messaggio attraverso l’arte del linguaggio. Tra questi la più importante è senza dubbio il genere “vangelo” (dal gr. euanghélion, buona notizia, grande notizia, o ancor meglio “la più grande” delle notizie!), che nasce con Marco, e non si limita a riferire parole precise o fatti che ricalcano i minimi dettagli, ma parole e fatti su cui gli evangelisti e la prima comunità cristiana hanno a lungo riflettuto per comprenderne il senso profondo. Ma si noti bene, la “libertà” che l’artista si prende non è però a scapito della verità, anzi: l’evangelista non si limita solo ne tanto a riportare dei fatti di cronaca.. non è nel suo interesse. Mostra invece come tutto ciò sia stato accolto e vissuto dai fedeli. Scopo dei Vangeli – e di tutta la Bibbia – è quello di suscitare e confermare la fede in Gesù. La loro stesura partì infatti molto probabilmente dalla Passione-Morte-Risurrezione, a cui fu aggiunta – anche se retro iettata – la vita fino a quel momento. Si tratta in pratica della modalità narrativa adottata da Mel Gibson in The passion of Christ. Ma perché, è lecito chiederci, la Bibbia comprende questi libri e non altri? Nel corso del tempo le comunità ebraiche e cristiane hanno cominciato a considerare alcuni libri ispirati da Dio, mentre altri no, decidendo di inserirli nel canone, dal gr. kanòn, “regola, norma, limite”.

La Bibbia come la conosciamo oggi è frutto di un lungo percorso, che termina solo nel 1546 col Concilio di Trento. La scelta è stata così dettata: per l’Antico Testamento la Chiesa ha accolto quelli della versione greca detta Settanta, ovvero quella realizzata tra il III e il I sec. a.C., così chiamata perché, secondo la Lettera di Aristea, su richiesta del re Tolomeo Filadelfo (285-247 a.C.), sarebbe stata tradotta direttamente dall’ebraico da 72 saggi (sei per ognuna delle dodici tribù, numero arrotondato poi in 70) fatti venire da Gerusalemme ad Alessandria d’Egitto. Ospitati dal re in una casa dell’isoletta Faro, avrebbero terminato la traduzione in 72 giorni. Per il Nuovo Testamento, invece, i criteri sono stati tre:  1) quello dell’apostolicità, dal legame cioè diretto o indiretto che i testi avevano con gli apostoli; 2) quello della fedeltà agli insegnamenti di Gesù, trasmessi al tempo per via orale; 3) dalla liturgia, vennero cioè presi in considerazione i testi più utilizzati e commentati per la preghiera comune. Altro concetto complicato da comprendere è quello di ispirazione: è Dio stesso ad aver ispirato i testi, non però nel senso che li ha fisicamente dettati a chi li ha scritti (come ritengono ad esempio i Testimoni di Geova o i musulmani per quanto riguarda il Corano), ma si è servito di alcuni uomini che hanno “redatto” attraverso le loro capacità e la loro personalità. Ma come dobbiamo leggere il testo sacro? Una prima deriva è rappresentata dal letteralismo, adottato da coloro che non approfondiscono i testi alla luce del con-testo, rifiutando in tal modo il carattere storico della rivelazione, ma così facendo si nega l’uomo! Il fondamentalismo è in pratica una sorta di suicidio del pensiero, dato che utilizza il testo a proprio piacimento e senza considerare la storia. Occorre infatti conoscere alcuni modi in cui la Bibbia si esprime, su tutti la simbologia, in primis quella numerica: prendere alla lettera ad esempio i numeri 3, 7, 12, 40, 666 o 144.000, solo per citare gli esempi più celebri, sarebbe pura follia, oltre che ignoranza della Scrittura. E per quanto concerne la letteratura apocrifa invece?  “Apocrifo” deriva dal greco kryptein, “nascondere, tenere segreto”. I libri apocrifi vanno distinti in tre gruppi: gli scritti della «gnosi», una corrente filosofica e religiosa del I secolo, considerata eretica dalla Chiesa delle origini; quelli che hanno un linguaggio simile a quello biblico; infine i sette scritti che la versione greca dei Settanta ha aggiunto ai 39 libri del canone ebraico, per i quali è più corretto usare il termine di “deuterocanonici”. In ogni caso gli scritti apocrifi rispondono più che altro a domande su cui il testo canonico non dice nulla: cosa ad esempio faceva Gesù da bambino, chi erano i genitori di Maria, e via dicendo.. Ma è importante non considerarla una letteratura negativa, dato che la tradizione se n’è servita a piene mani (che ne sarebbe ad esempio dell’arte cristiana senza le fonti apocrife?!), ma non per le questioni fondamentali. Il quesito più celebre sulla Bibbia è però un altro: può sbagliarsi? Il testo presenta concezioni di carattere scientifico superate, o addirittura inesattezze, ma non è un libro di storia né di scienza! Occorre farsi guidare allora da tre principi: 1) la verità della Scrittura, che deve sempre essere compresa nel suo insieme, ed è storia (non storiografia) di salvezza, per me oggi; 2) non possiamo valutare i testi antichi solo attraverso la nostra mentalità: occorre sempre uno sforzo interpretativo che tenga conto del contesto storico, politico, culturale, ecc..; 3) bisogna saper distinguere ciò che è importante e ciò che invece è marginale o secondario. Il celebre “caso Galileo” è in tal senso emblematico: al suo tempo la Chiesa difendeva la teoria che poneva la terra al centro dell’universo (geocentrismo), mentre lo scienziato pisano sosteneva il contrario (eliocentrismo), affermando mirabilmente che «L’intenzione dello Spirito Santo (nella Bibbia) è d’insegnarci come si vada in cielo, e non come vada il cielo». Indicativo è ad esempio il libro di Genesi, che non intende certo spiegare come è nato l’uomo, ma servendosi delle conoscenze del periodo in cui è stato redatto: si pensava ad esempio che il cielo fosse una gigantesca calotta forellata (sorta di scolapasta!) dalla quale penetravano le “acque superiori”. In un modo o nell’altro la Bibbia parla sempre dell’uomo e dei suoi grandi problemi, e di un popolo che continuamente si domanda: «Dio è veramente con noi?». Domanda che trova la sua risposta nel finale: «La grazia del Signore Gesù (sia) con tutti!» (Ap 22,21). 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Gabriele Fabbri

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