Mistagogia: Liturgia della Parola (Introduzione)



Liturgia della Parola
Così preparata, l’assemblea è pronta ad accogliere la Parola di Dio che, nelle domeniche e nelle solennità è composta da tre letture: la prima è un brano dell’Antico Testamento, seguito da un salmo; la seconda è un estratto dagli scritti apostolici del Nuovo Testamento (gli Atti degli Apostoli, le Lettere di San Paolo o degli altri Apostoli e l’Apocalisse); la terza è un brano dei Vangeli. 
Queste tre letture sono seguite da tre interventi che sono la risposta della Chiesa a tali letture: l’omelia, il Credo e la preghiera universale, detta anche “dei fedeli”.

Il tutto dovrebbe essere condito dal silenzio, affinché la Parola sia celebrata in modo da favorire la meditazione, evitando ogni forma di fretta che impedisca il raccoglimento. «Il silenzio – afferma l’esploratore norvegese Erling Kagge – ha.. un compito, deve parlare. Deve dirci delle cose, e noi dobbiamo parlare con lui e sfruttare il suo potenziale inespresso.. Una sottile inquietudine nei confronti di qualcosa che conosco a malapena e mi induce a non essere presente a me stesso, tenermi occupato in qualche modo, evitare il silenzio, tuffarmi a capofitto in qualche nuova attività..». Il silenzio è insomma gravido di Presenza, a patto che lo si lasci “parlare”! 

Per tale ragione il Messale suggerisce quattro momenti di breve silenzio: prima che inizi la stessa Liturgia della Parola, dopo la prima e la seconda lettura, infine dopo l’omelia. 

Il vertice di questa liturgia è rappresentato dal Vangelo, in riferimento al quale sono scelte le altre letture, “per attrazione”, dice il vescovo Francesco Lambiasi, nel senso che in qualche modo lo anticipano (prima lettura) oppure “commentano” (seconda lettura). 

Ma vediamo un po’ meglio le parti che costituiscono tale liturgia:

la Prima Lettura: premesso che tutta la Sacra Scrittura parla di Gesù, il brano dell’Antico Testamento ci mostra questo legame storico-profetico tra la rivelazione di Dio a Mosè, ai Profeti, ecc.. e il Figlio, la Parola che si è incarnata, di cui ci parla il Vangelo appunto; 
la lettura è seguita dal Salmo responsoriale, che ne costituisce la risposta, il “responso”, (motivo per cui cambiarlo ha poco senso..) e favorisce la meditazione. Cantarlo, almeno il ritornello, aiuta tale meditazione;
la Seconda Lettura che, come detto, è costituita dagli scritti degli Apostoli i quali, dopo aver ricevuto lo Spirito Santo gli “danno voce” per annunciare quel Gesù che i loro occhi hanno visto, le loro orecchie hanno udito, le loro mani hanno toccato;
il Vangelo: preceduto dal canto dell’ alleluia è il cuore di tutta la Liturgia della Parola, la lettura più solenne, quella per cui ci si alza in piedi, come il paralitico guarito, come la stessa posizione del Risorto e di tutti i risorti con lui. Un’assemblea in piedi è dunque un’assemblea di risuscitati! Quando si proclama il Vangelo, e non in senso metaforico, è Gesù stesso che parla, e chi legge, prete o diacono, non fa altro che prestargli la propria voce. 
A queste tre letture segue quindi la risposta della Chiesa, di ognuno di noi, e ciò avviene in tre modi: 

1) Attraverso l’Omelia del vescovo, del presbitero o del diacono. Tale parola deriva dal greco homilia, che significa “riunione, assemblea, compagnia, relazioni familiari”, da cui conversazione familiare, discussione, esortazione. E’ per questo che spesso il prete coinvolge la gente. Essa ha il suo prototipo nell’omelia di Gesù a Nazareth quando, entrato nella sinagoga, si alzò a leggere un brano del profeta Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me.. e disse: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi». Quell’oggi è presente ad ogni Liturgia della Parola! Stando a quanto dice Gesù in questo brano (Lc 4,16-22) l’omelia dovrebbe sviluppare questo oggi: partire cioè dal senso letterale (cosa intende dire quel brano in sé, nella lingua originale in cui è stato scritto e nell’ambito storico-geografico a cui è stato rivolto), passando per quello cristologico (cioè cosa dice questo brano in riferimento a Cristo, perché tutta la Bibbia parla, direttamente o meno, di Lui), arrivando all’attualizzazione (cosa dice questo brano a me, a noi qui riuniti, oggi, nel contesto e nella comunità in cui viviamo).

2) Con il Credo, la professione di tutta la Chiesa che riassume stupendamente la nostra fede. Nella Chiesa  primitiva il vescovo domandava a chi stava per essere battezzato – a quei tempi il più delle volte un adulto –, «Credi in Dio Padre.. ?», e lui rispondeva «Credo!»; «Credi in Gesù Cristo.. ?», «Credo!»; «Credi nello Spirito Santo.. ?», «Credo!». Così la nostra professione di fede, oggi, è una triplice risposta battesimale e recitare il Credo è ricordarsi che siamo battezzati, figli di Dio e della Chiesa da Lui nata.

3) Tramite la Preghiera Universale, chiamata anticamente “preghiera dei fedeli” perché, da quel momento in poi, cioè dalla Liturgia eucaristica alla fine della Messa, i non battezzati, che però stavano facendo un cammino per diventarlo, venivano invitati ad uscire dalla chiesa. Dunque la preghiera che si recitava era dei (già) “fedeli”. Essa è la risposta di tutta l’assemblea alla Parola di Dio accolta con fede, assemblea che prega per tutti (universale) in virtù del proprio sacerdozio battesimale; ognuno di noi, infatti, è in qualche modo sacerdote, fa cioè da mediatore tra cielo e terra, tra gli uomini e Dio, e questa possibilità ci è data nel Battesimo. 

 

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
C.Franck, Panis angelicus, Mass Op.12, Michel Rondeau, IMSLI, Diritti Creative Commons

Scarica la nostra App su