Matteo 23,1-12: "Dicono e non fanno...". (Commento di padre Silvano Fausti)



Parola del Signore
Dal Vangelo secondo Matteo 23, 1-12

Testo del Vangelo
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

 

Recita
Gennj Fabbrucci

Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale con chitarra di Gabriele Fabbri

Meditazione
Padre Silvano Fausti
www.gesuiti-villapizzone.it

Meditazione
Gesù parla degli scribi e dei farisei. Il capitolo 23 è tutto un trattato sull'ipocrisia che è il virus tipico della persona religiosa, ma non solo religiosa. Ci sono varie forme di religione. In ufficio è religione far così, nella politica è religione, in tutto è religione far così. La legge dell'apparire in contraddizione con ciò che senti e ciò che fai. È questa l'ipocrisia che intacca in sostanza il nostro essere figli di Dio e fratelli e questo funziona a tutti i livelli. Funziona nella sinagoga, in chiesa, in piazza, nell'ufficio, dappertutto. È questo quel virus indistruttibile che Gesù attribuisce nella sua epoca agli scribi e ai farisei che erano persone bravissime, tutto sommato, stimabilissime.
Ciò che lui denuncia degli scribi dei farisei noi possiamo facilmente applicarlo a quelli di una volta, applicarlo agli altri, applicarlo ai preti eventualmente, anche tutte cose vere se non si dimentica che Giove ci ha dato due bisacce. I difetti che vediamo nella bisaccia di quello che ci sta davanti sono esattamente quelli che stanno sulle mie spalle che non vedo. Quindi questa descrizione degli scribi e dei farisei ci fa da specchio per vedere quel male radicale che s'annida in ciascuno di noi e che poi emerge anche nei capi ovviamente, perché il capo è quello che è riconosciuto tale perché tutti si rispecchiano in quello, è uguale.
È un testo di grande libertà interiore e vuole portarci però a questo la libertà. E non ci si arriva attraverso denunce così di altri ma attraverso lo snidamento di quel male sottile che sta dentro ciascuno di noi. In fondo qui lo dice chiaramente quello dell'incoerenza tra dire e fare, dicono e non fanno, quello del volere apparire a tutti i livelli, quello di esser importanti, dell’essere maestri, dell’essere padri, dell’essere signori, nell’essere quelle persone che tutto sommato dominano. Si può prevalere sull'altro o con la cattiveria, ma allora ti dicono che sei cattivo, eventualmente ti potrebbe anche in prigione, oppure c'è un modo di prevalere sull'altro di uccidere il fratello e di uccidere se stessi come figli che quasi non ci si accorge che avvenga. È usare il bene, le qualità che hai, invece, che per unirti agli altri in un servizio reciproco di amore, per dominare e servirti degli altri come piedestallo. Per cui tutto il bene che abbiamo è ridotto a male da questa ipocrisia. Si possono fare anche beneficenza purché ti mettano la lapide, purché te ne torni un vantaggio di immagine, fai tutto. Allora, anche il bene è strumentalizzato al male. E su questo tutti noi uomini siamo sensibili perché è determinante per noi come siamo visti, come siamo stimati. Allora, cerchiamo la stima e la vanagloria che mi viene dagli altri, invece di considerare la vera stima che devo avere di me e degli altri che sono figlio di Dio e questo ce n'è davanzo.

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