Matteo 19, 16-22: "La ricchezza genera tristezza...". (Commento di don Franco Mastrolonardo)



Parola del Signore
Dal Vangelo secondo Matteo 19,16-22

Testo del Vangelo
In quel tempo, un tale si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?». Gli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Buono è uno solo. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». Gli chiese: «Quali?». 
Gesù rispose: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso». Il giovane gli disse: «Tutte queste cose le ho osservate; che altro mi manca?». Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!». 
Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze.

Recita
Cristian Messina

Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale di Cristian Messina

Meditazione
Don Franco Mastrolonardo

Meditazione
Partiamo dalla fine. Il giovane se ne andò triste: possedeva infatti molte ricchezze. Se fosse il risultato di un problema matematico, potremmo tranquillamente sostenere l’equazione: molte ricchezze, molta tristezza. Che tristezza però, commenterei. Eppure quel ragazzo è partito deciso, entusiasta. La domanda sulla vita eterna equivale a dire: desidero la felicità. Gesù gli da udienza, lo ascolta, ci dialoga, ma ad un certo momento lo coglie in fallo. Il bug sta in questa frase che cito: Tutte queste cose le ho osservate: cos’altro mi manca? Ecco l'inghippo. Il giovane associa la felicità a dei compitini da fare. Dico tot preghiere, faccio tot opere di carità ed ecco divento felice. Ma la felicità non è una pura addizione di meriti. E' esattamente il contrario. Una sottrazione. Non è il fare, ma il lasciarsi fare, non è l’accumulare ma il perdere.
Questo giovane non è un cattivo ragazzo, tutt’altro. È il classico bravo ragazzo. Anzi, meglio, ha la sindrome del bravo ragazzo. Per lui è indubbio che la felicità cresce in relazione al merito. Cerca di far di tutto per essere stimato e apprezzato. E cerca il miglior maestro che possa alzargli l’asticella della perfezione, per diventare il migliore. Ovviamente così facendo non sfugge alla logica della competizione non solo con gli altri, ma soprattutto con se stesso. Ed è in questa crescente ansia da prestazione che si annida il virus della tristezza. Perché i cosidetti bravi ragazzi, a differenza di quelli più ribelli che sconfinano nella rabbia e nella violenza pubblica e ostentata, sono affetti da un male più invisibile, che è la depressione. E quando si palesa questo male oscuro? Quando ti crolla tutto il sistema che hai abbracciato fino a quel momento. Gesù che è vero educatore non chiede al giovane ricco l’ennesimo compito da svolgere, la buona azione, la preghierina in più. Sa che tutte queste cose da osservare non lo renderanno mai veramente felice. Il Cristianesimo non è un’etica da praticare, ma una amicizia da stringere. Gesù gli chiede di lasciare tutte queste cose e di seguirlo. Alla luce di questi passaggi capiamo ora quali sono le vere ricchezze del ragazzo. Sono gli attaccamenti al suo vecchio modo di vivere la religiosità fatta di meriti e compiacenze. Gesù gli chiede un vero salto nel buio. Ma il tizio del Vangelo non si fida. E il prezzo della sfiducia si paga con la moneta della tristezza.

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