
Parola del Signore
Dal Vangelo secondo Giovanni 17, 20-26
Testo del Vangelo
In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:
«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.
Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».
Recita
Sabrina Boschetti
Musica di sottofondo
P.H.Erlebach. Halleluja. Performer Michel Rondeau. Diritti Creative Commons. musopen.org
Meditazione
Don Davide Arcangeli
Meditazione
La preghiera di Gesù ora si estende in modo universale verso tutta l’umanità di tutti i luoghi e di tutti i tempi. Sono coloro che crederanno mediante la parola dei discepoli, in ogni momento della storia umana. Anche loro devono essere raccolti nel movimento d’amore che proviene dal Padre e dal Figlio e conduce nell’unità della loro comunione.
Ogni uomo è chiamato a questa comunione e dunque fa potenzialmente parte della comunità messianica, della Chiesa. Solo così infatti essa può davvero essere sacramento, ossia segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano.
C’è un particolare e misterioso rapporto della Chiesa con il Regno di Dio, in cui gli uomini saranno definitivamente raccolti nell’unità del Padre e del Figlio. Essa infatti ne costituisce come un anticipo e una figura, che si esprime particolarmente nel dialogo ricco di dolcezza e rispetto che essa instaura con ogni uomo, di qualunque cultura, religione e orientamento ideale.
Essa non si sente come una cittadella assediata da nemici da combattere per difendere il Regno ma semmai come un ospedale da campo, in cui guarir le ferite di un’umanità che finisce per pagare le conseguenze del proprio male. Se accusa, è per prevenire e riconciliare; se alza la voce, è per difendere i più deboli; se dialoga, non è per compiacente buonismo, ma per gettare la propria luce sui semi di verità che si trovano nel proprio interlocutore. Con il dialogo, essa fa di tutto per aprire il cuore di ogni uomo a quell’amore con cui il Padre ha amato il Figlio.
C’è purtroppo oggi una tendenza a considerare il dialogo come una procedura che non sarebbe in grado di risolvere i punti controversi e le contraddizioni esistenti tra le religioni e le culture e che dunque si ridurrebbe a celebrare alcune (poche) intese, e a tacere ciò su cui non si concorda. Allora la Chiesa, più che dialogare, dovrebbe annunciare la sua verità, gettandola davanti al proprio interlocutore.
In realtà se l’annuncio del Vangelo è una missione d’amore che porta all’unità coloro che il Padre ha già orientato verso il Figlio, allora l’annuncio non può non essere anche una forma di dialogo. Esso si interessa dell’altro, con la sua diversità e umanità, per far emergere tutto ciò che già da sempre lo conduce verso la gloria del Figlio di Dio. Gettare le proprie verità davanti all’altro non è annuncio, ma una forma di violenza. Ogni vero annuncio non può che essere un dialogo d’amore, “perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro”.