8 Febbraio: Santa Giuseppina Bakhita (Biografia dialogata)



Santa Giuseppina Bakhita (8 febbraio) 
«Se incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita, e anche quelli che mi hanno torturata, mi inginocchierei a baciare loro le mani, perché se non fosse per loro non sarei ora cristiana e religiosa.. Come noi siamo abituati a fare il bene, così i negrieri facevano questo, perché era loro abitudine, non per cattiveria. Prego tanto per quei negrieri, perché il Signore, tanto buono e generoso con me, lo sia anche con loro, fino a convertirli e a salvarli tutti».

Di chi sono queste meravigliose parole di perdono?
A pronunciarle è santa Giuseppina Bakhita, nata nel 1869 in Sudan, dove conobbe un’infanzia terribile, segnata da diversi rapimenti e periodi di schiavitù, traumi che le faranno dimenticare perfino il suo nome. Bakhita infatti, ovvero “fortunata” in lingua araba, le sarà dato da uno dei suoi rapitori. Nonostante la sua triste infanzia – venne rapita per la prima volta quando aveva solo sette anni – l’abbia segnata nello spirito e nel corpo, marchiato da ben 144 cicatrici, procuratele dai suoi diversi carnefici, ella si ritenne davvero “fortunata”, perché tali vicissitudini l’avevano condotta a conoscere Gesù. 

Cosa le accadde durante l’adolescenza, dopo questi rapimenti?
All’età di tredici anni viene venduta ad un agente consolare italiano, che la conduce a Genova, in cui viene donata ai coniugi Michieli, che risiedono in Veneto ma hanno interessi in Sudan. Quando ha diciotto anni si prende cura di lei un amico della famiglia Michieli, Illuminato Cecchini, che le farà da tutore e l’inizierà alla vita cristiana, trattandola come una figlia, attenzioni alle quali Bakhita non era purtroppo più abituata. 

Dunque ha vissuto il resto della sua vita in Italia?
Sì. Quando i Michieli decisero di tornare in Sudan, Bakhita scelse di rimanere in quello che ormai riteneva il suo Paese adottivo: «Non posso tornare in Africa – disse –, perché non potrei professare la mia fede nel Signore. Non posso perdere il mio Dio.. io resto». Era il 29 novembre 1889, giorno in cui venne dichiarata dal procuratore del re legalmente libera. Ma la vera libertà la sperimentò iniziando a servire un “padrone” diverso: el Paron.    

Di quale Paron stiamo parlando?
Non certo del mitico Nereo Rocco, il celebre triestino, calciatore prima e allenatore poi, famoso non solo per aver vinto tutto col grande Milan tra gli anni’60 e ‘70, ma secondo alcuni per aver inventato il “catenaccio”, ovvero un modo di difendersi che caratterizza lo stile italiano nel mondo, almeno in questo sport. Ma torniamo al Paron di Bakhita, cioè al termine con cui, in dialetto veneziano, si indicava Dio, un Signore che la conosceva come nessun altro e l’amava alla follia. «Quello che vol el Paron», fu infatti il motto della sua vita spirituale.    

Cos’altro sappiamo di lei?
Il 9 gennaio del 1890 ricevette i sacramenti dell’iniziazione cristiana: battesimo, cresima e prima comunione. Ma la conoscenza di Gesù la portò a desiderare di vivere la vita totalmente per Lui: «Quando ho capito che il Signore mi chiamava alla vita religiosa – disse –, ho sofferto tanto perché non sapevo come spiegarmi. Mi sentivo indegna, ed essendo di razza nera ero convinta che avrei fatto sfigurare l’Istituto e che non mi avrebbero accettata». E invece divenne il fiore all’occhiello delle Canossiane, fondate da santa Maddalena di Canossa. L’8 dicembre 1896 pronunciò i voti a Verona. Nel 1902 venne trasferita nella casa di Schio, in cui rimarrà per oltre 40 anni, facendo del quotidiano la sua missione, come cuoca, sagrestana e aiuto infermiera.

Quando morì?
La parte finale della sua vita la trascorse nella malattia, che accettò con serenità. L’8 febbraio 1947, prima di spirare a causa di una polmonite, le apparve la Vergine: «Che contenta.. la Madonna, la Madonna (!)», furono le sue ultime parole. Nel 1992 fu proclamata beata assieme a Josemarìa Escrivà de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, mentre nel 2000, proprio in occasione dell’anno giubilare, san Giovanni Paolo II la iscrisse all’albo dei santi. Le sue reliquie si trovano oggi nella casa canossiana di Schio, in provincia di Vicenza. 

Ti affidiamo, Bakhita, il nostro cammino di santità nella semplicità del nostro quotidiano, ti chiediamo la forza di sopportare le piccole-grandi schiavitù, che troppo spesso siamo però noi stessi ad infliggerci. Insegnaci, come dicevi tu, a farci furbi in questo mondo, cercando «di acquistare più meriti che si può».  

 

 

 

 

Recita
Giulia Tomassini, Alan Santini

Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale di Gabriele Fabbri

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