San Carlo Borromeo (4 novembre)
«Tutti siamo certamente deboli.. ma il Signore Dio mette a nostra disposizione mezzi tali che, se lo vogliamo, possiamo far molto. Senza di essi però non sarà possibile tener fede all’impegno della propria vocazione. Facciamo il caso di un sacerdote che riconosca bensì di dover essere temperante, di dover dare esempio di costumi severi e santi, ma che poi rifiuti ogni mortificazione, non digiuni, non preghi, ami conversazioni e familiarità poco edificanti: come potrà costui essere all’altezza del suo ufficio? ..prima di accedere al coro o di iniziare la Messa, come si è comportato in sacrestia, come si è preparato, quali mezzi ha predisposto e usato per conservare il raccoglimento?».
Di chi sono queste parole così esigenti sulla vita del prete?
A pronunciarle è il santo che festeggiamo oggi, Carlo Borromeo, nato nel 1538 ad Arona, in provincia di Novara. L’esigenza di queste parole era però da lui rivolta in primis a sé stesso. Humilitas, “umiltà”, fu infatti il motto che ne animò l’intera vita: nobile e ricco – la famiglia dei Borromeo era infatti padrona del Lago Maggiore e di molte altre terre –, avviato alla vita presbiterale già a dodici anni, si privò di tutto per donarsi interamente agli altri, tanto da esser chiamato “padre dei poveri”.
Una scelta netta e coraggiosa la sua, ma forse non per tutti..
Forse, ma tutti – in particolare i confratelli preti – cercava di spronare: «Hai il mandato di predicare e di insegnare? Studia e applicati a quelle cose che sono necessarie per compiere bene questo incarico. Dà sempre buon esempio e cerca di essere il primo in ogni cosa..». Sapeva tuttavia che, per potersi dare agli altri, occorreva prima prendersi cura di sé: «Eserciti la cura d’anime? Non trascurare per questo la cura di te stesso, e non darti agli altri al punto che non rimanga nulla di te a te stesso. Devi avere certo presente il ricordo delle anime di cui sei pastore, ma non dimenticarti di te stesso.. Se amministri i sacramenti, o fratello, medita ciò che fai. Se celebri la Messa, medita ciò che offri. Se reciti i salmi in coro, medita a chi e di che cosa parli. Se guidi anime, medita da quale sangue siano state lavate..».
L’agio in cui viveva e il precoce avviamento alla vita ecclesiastica lo aiutarono nella sua vocazione?
Probabilmente sì: nipote di papa Pio IV, fu creato cardinale diacono a soli ventun anni, e scelto dallo zio come segretario di Stato, responsabile cioè delle relazioni politiche e diplomatiche, il primo nel senso moderno del termine. Ma mai come nel suo caso il fenomeno del nepotismo, la tendenza cioè a favorire i propri familiari, fu più azzeccato e giustificato. Ordinato prete e poi vescovo a soli ventiquattro anni, dopo la morte di Pio IV fu accolto trionfalmente sulla sede episcopale di Milano.
Per quali ragioni?
Nella terra meneghina fondò seminari, fece costruire ospedali e ospizi, donando quanto possedeva ai poveri, ma soprattutto non si risparmiò durante la peste che devastò la città nel 1576. Il dono totale di sé per il suo gregge lo rese uno dei vescovi più amati nella storia dei milanesi, secondo solo a sant’Ambrogio. La statua che svetta ad Arona, simpaticamente soprannominata “Sancarlone”, ben riflette la grandezza di questa guida d’anime: alta più di trenta metri (una delle più grandi al mondo) e costruita con una tecnica avveniristica, ispirò perfino i progettisti della statua della Libertà di New York. «Le anime – amava ripetere spesso – si conquistano con le ginocchia», cioè con la preghiera, l’umiltà e il servizio. Se per primo era disposto a donarsi senza riserve, esigeva tuttavia lo stesso anche dai suoi, un rigore che rischiò di costargli la vita.
In che senso?
Forse per tale rigore, un tale, chiamato il “Farina”, si introdusse di notte nella cappella di famiglia e lo aggredì mentre pregava, ma il proiettile dell’archibugio non lo ferì, anzi, l’episodio fu letto da Carlo come conferma divina di quanto stava operando. Nonostante ciò il Borromeo morì appena quarantaseienne, stremato dalla sua incessante attività pastorale e caritatevole: era il tramonto del 3 novembre 1584, ma in base alle consuetudini di quel periodo (mutuate dal modo ebraico di calcolare il tempo, che considera il tramonto come l’inizio del giorno seguente), si conservò la data del suo decesso al 4 novembre.
«Custodisci in noi, Padre, lo spirito che mosse san Carlo, e non smettere mai di donarci i mezzi e le occasioni per rinnovare la Chiesa, semper reformanda come amano dire i nostri fratelli evangelici, per mostrare al mondo un volto sempre più bello e attuale di Cristo Gesù, tuo Figlio, nostro fratello e Signore».
Recita
Federica Lualdi, Cristian Messina
Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale con chitarra di Gabriele Fabbri