Preghiera dalla baracca di un lager



Testo della lettera
Poco fa mi sono svegliato, non so come, a notte fonda, attorno tutti stanno dormendo, la baracca è buia, manca l’aria, al soffitto è appesa una lanterna dalla luce tremolante. I corpi sono ammucchiati l’uno sull’altro, c’è sovraffollamento: è un quadro normale, ben noto, la sensazione consueta di tante notti in questi due lunghi anni. Nell’anima ho un senso di tremenda solitudine, d’impotenza infantile, inesprimibile, non c’è ove rifugiarsi e tra gli esseri umani che mi circondano non c’è nessuno a cui poter affidare almeno una piccola parte di questa impotenza estrema, che scaturisce dal profondo. La vita scorre monotona, l’inizio e la fine della giornata si perdono in crepuscoli grigi e piovosi, Metà del giorno sprofonda nel lavoro, sempre uguale, che consiste nello stare in piedi per lunghe ore in un’enorme baracca con coltello e martelletto in mano, a intrecciare canestri. L’anima si ottunde, si indurisce per questa immutabile volgarità intorno a noi, per questa barbarie, crudeltà, queste bestemmie e ingiurie. Si può solo pregare.
Non abbandonarmi!
Non fammi scendere in questo abisso!
Salvami con il tocco della tua mano,
come vuoi e come sai!
Salvami anche senza preghiere e senza gesti ascetici da parte mia.
Lui sente ogni sospiro,
accoglie ogni lacrima come un sacrificio gradito,
l’afflizione,
la gioia,
la tenerezza,
l’immenso senso di colpa,
la gratitudine
e un sentimento che nel linguaggio umano non ha nome,
soave e straziante fino al dolore:
Dio!
Eternità!
Tutto il resto attorno a noi è come un lunghissimo sogno.
Signore, fa che mi svegli!

Lettera di padre Anatolij Zurakanovskij dal lager delle isole Solovki del 30 settembre 1932
Brano audio tratto da  "Uomini e profeti" del 19 Novembre 2017, RaiTre.

Per ascoltare la trasmissione per intero vai su www.preg.audio

Uomini e profeti

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