17 Gennaio: Sant'Antonio abate (Biografia dialogata)



Sant'Antonio abate (17 Gennaio)
Oggi la liturgia celebra colui che viene considerato il fondatore del monachesimo, oltre che il primo abate, parola che deriva dall’aramaico āb, “padre”, in origine utilizzata semplicemente come appellativo onorifico, in seguito invece per sottolineare la superiorità all’interno di un cenobio, ovvero una comunità monastica.

Dunque è stato il primo monaco della storia?
Probabilmente non fu l’iniziatore di questa forma di vita, ma di certo l’esempio più illustre, capace di fare da traino per tanti altri che, come lui, scelsero la vita eremitica. Tutto ciò che sappiamo di questo grande uomo ci è narrato dal suo biografo e discepolo Atanasio: nato intorno al 250 in una località egiziana, da genitori cristiani ricchi e benestanti, intorno ai diciotto anni rimase orfano di entrambi, trovandosi solo e in dovere di accudire la sorellina più piccola. Un giorno, dopo circa sei mesi dalla perdita dei genitori, è presente ad una celebrazione in cui viene proclamato il celebre passo del giovane ricco: «Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (Mt 19,21). Antonio capisce immediatamente che quelle parole sono “per lui”: dona la proprietà lasciatagli dai genitori – circa 80 ettari di terreno –, vende tutto ciò che possiede e ne dà una parte ai poveri e l’altra alla sorella, che affida in seguito ad una comunità di vergini, mentre lui si ritira nel deserto, avendo inizialmente come dimora una tomba vuota scavata nella roccia.

Spesso l’iconografia lo ritrae mentre lotta col demonio, come mai?
Il nemico di Dio gli farà visita costantemente, apparendogli nel sonno come di giorno, attraverso la nostalgia dovuta ai ricordi della vita passata, in fantasie lussuriose, ma soprattutto nelle diverse sembianze angeliche, di belve che lo picchiano a sangue o di donne procaci che lo tentano. Frequenti sono inoltre i disagi ambientali causatigli dal maligno, che gli distrugge o nasconde gli oggetti di uso comune. L’ultima e più dura tentazione, la superbia, gli farà però visita nell’ultimo periodo della vita, quando, vista l’enorme fama raggiunta, da lui accorreva gente da ogni parte, chiedendogli consigli o una semplice benedizione.

Si dice che avesse anche capacità non comuni, è vero?
Diverse, oltre al dono della preveggenza – previde tra l’altro e molto tempo prima il giorno esatto della sua stessa morte – era anche telestetico, vedeva cioè fatti che accadevano ad enorme distanza e in tempi diversi, passati e futuri. Era inoltre spesso rapito in estasi, avendo locuzioni e visioni celesti. Ma il suo dono più grande era la saggezza. A riguardo, un episodio fra i tanti merita di essere menzionato: un giorno due filosofi greci, pagani, vollero metterlo in difficoltà con i loro sofismi, ma lui tagliò corto: «se io sono stolto perché venite a consultarmi? Se sono sapiente – come mi dite – perché non mi imitate? Io sono cristiano!» (Vita di Antonio, di Atanasio di Alessandria, 72,5)

Come e quando morì?
Lasciò questa terra, nella gioia e guardando i suoi amici negli occhi, all’età di 105 o 106 anni (ottanta dei quali trascorsi nel deserto), invitando i suoi discepoli Macario e Amanthas a nascondere, una volta morto, la sua salma. Nei pressi della tomba, in seguito individuata, sorse immediatamente il più antico monastero cristiano del mondo, in un’oasi non distante dal Mar Rosso.

Come mai la sua festa liturgica è legata alla benedizione degli animali?
Nel 561 fu individuato con esattezza il suo sepolcro, e le reliquie cominciarono a viaggiare, da Alessandria a Costantinopoli, fino a raggiungere la Francia nell’XI secolo, a Motte-Saint-Didier, in cui gli fu edificata una chiesa, nella quale iniziò ad essere venerato. Accorsero in questo luogo diversi malati, soprattutto di ergotismo canceroso, malattia conosciuta fin dall’antichità come ignis sacer, “fuoco sacro”, per via del forte bruciore che causava. Per ospitare l’enorme afflusso di malati venne costruito un ospedale, gestito poi da una confraternita di religiosi, chiamati in seguito “Antoniani”, al quale il papa accordò di allevare maiali, che gironzolavano indisturbati con una campanella di riconoscimento al collo. Il grasso di questi maiali veniva utilizzato per curare l’ergotismo, chiamato in un primo momento “male di Sant’Antonio”, poi “fuoco di Sant’Antonio”. Per tale motivo il maiale cominciò ad essere associato al santo, che divenne, per estensione, patrono di tutti gli animali.

Donaci Antonio di poterti imitare almeno un po’, e di «vivere come se (dovessimo) morire ogni giorno; (di) emulare gli esempi virtuosi dei santi; (di) non temere i demoni insidiosi e feroci, ma deboli e codardi.. (e di) respirare sempre Cristo..» (dalla Vita di Antonio, 91-97).

 

Recita
Massimo Alberici, Simona Mulazzani

Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale di Gabriele Fabbri

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