Pentecoste. VIII domenica di Pasqua (Catechesi dialogata)



Pentecoste (VIII domenica di Pasqua)
«Dio onnipotente ed eterno, che hai racchiuso la celebrazione della Pasqua nel tempo sacro dei cinquanta giorni, rinnova il prodigio della Pentecoste: fa che i popoli dispersi si raccolgano insieme e le diverse lingue si uniscano a proclamare la gloria del tuo nome..».

Nelle parole di questa preghiera Colletta è perfettamente sintetizzato il senso della solennità che celebriamo quest’oggi, ma qual è la sua relazione con la Pasqua?
Pasqua è Pentecoste [dal greco pentekosté (hemèra), “cinquantesimo (giorno)”], e Pentecoste non è una festa autonoma. Questa strettissima unità è ben sottolineata dal Vangelo di Giovanni (Gv 20,19-23), in cui l’effusione dello Spirito da parte di Cristo avviene la sera stessa del giorno della risurrezione.
Cristo risuscitato ci ha lasciato la caparra della sua presenza: lo Spirito Santo, letteralmente la “vita di Dio”. La caparra è il pegno e la prova per accertarsi di qualcosa. Se ci impegniamo ad esempio ad acquistare un oggetto, ecco che la caparra certifica la nostra volontà di acquisto: l’oggetto, che fisicamente non è ancora nelle nostre mani, lo è però in concreto, tanto che nessun altro potrà, appunto, “accaparrarselo”.

Come e quando è nata questa festività?
Occorre anzitutto fare un passo indietro nell’Antico Testamento, in cui il popolo d’Israele assume tre grandi feste della natura – primavera, estate ed autunno – e le inserisce in un nuovo dinamismo, quello della Storia della Salvezza, operata da parte di un Dio che si rivela. Ecco allora che Pasqua, festa di primavera, diventa memoriale della liberazione dalla schiavitù egiziana; Capanne, ossia la vendemmia autunnale, diventa la celebrazione del soggiorno nel deserto; e, infine, la Pentecoste, commemorazione agraria delle primizie e della mietitura (collocata a sette settimane dall’inizio di primavera), diventa la solennità delle grandi Alleanze tra Dio e il suo popolo.

Come muta il suo significato dal passaggio tra Antico e Nuovo Testamento?
Nella comunità di Qumran, composta da monaci contemporanei di Gesù che vivevano nel deserto, la Pentecoste era già celebrata come festa della Nuova Alleanza, quella annunciata dal profeta Geremia (31,31-34). Per i discepoli di Cristo diventa la celebrazione di un nuovo rapporto tra Dio e l’umanità. Non solo, essa è il momento della purificazione grazie alla quale l’uomo è perdonato e ri-creato come “nuovo”. È inoltre la celebrazione dei diversi carismi (dal gr. khàrisma, “dono”) di cui la Chiesa è piena: quanta bellezza nel volto di chi si lascia guidare da Dio! Dal punto di vista sacramentale la Pentecoste è poi la celebrazione dei cosiddetti sacramenti dell’iniziazione cristiana: battesimo, confermazione ed eucarestia. Senza dimenticare, come già detto, quello della riconciliazione.

Parlare dello Spirito Santo è molto difficile, tanto che lo si fa attraverso dei simboli.. qual è il loro significato?
Anzitutto il vento, termine che nella lingua ebraica è sinonimo di spirito. Esso suggerisce l’idea di ri-nascita (cfr. Gv 3,3-8) e di ri-creazione, sia del cosmo (cfr. Gn 1,2) che dell’uomo (Gn 2,7). E il vento «soffia dove vuole.. (come) chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8), non lo si può imprigionare. Altro simbolo è il fuoco, presente in diverse teofanie, cioè manifestazioni di Dio: «l’uomo – scrive il celebre biblista Gianfranco Ravasi – non può trattenere il fuoco con le sue mani.. eppure esso lo attraversa con la sua luce, lo conforta con il suo calore, è indispensabile alla sua esistenza e al suo progresso..». Il fuoco ci parla insomma della potenza e della vicinanza di Dio nei nostri confronti.

La Bibbia, nel parlare dello Spirito Santo, lo chiama anche Paraclito (cfr. Gb 33,23; Is 51,12; Gv 14,16.26; 15,26; 16,7).. cosa si intende esattamente?
È una parola greca che significa “chiamato accanto”, per aiutarci e consolarci. Il latino traduce Paraclito con Avvocato. In altri termini, se immaginiamo la vita come un grande tribunale, ecco presentarsi i diversi protagonisti della scena: da una parte Satana, dall’ebraico satan, “accusatore”, colui che ci rimprovera il nostro limite facendocelo vivere con senso di colpa; dall’altra noi, gli accusati, con l’Avvocato difensore alla nostra destra, pronto a respingere ogni accusa, a mostrarci sì il nostro limite, ma facendocelo vivere come lo vive un bambino neonato, che in tutto e per tutto dipende dai propri Genitori, quel Padre e quella Madre che lo amano incondizionatamente. È infatti lo Spirito a far sì che possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo «Abbà», parola aramaica che potremmo tradurre con “papà mio”, “babbuccio”, “paparino”, “papi”, e così via.. Un’espressione tenera e di estrema confidenza. È lo Spirito, insomma, a farci compiere il passaggio dalla paura al desiderio, dalla condizione di schiavi a quella di figli! Ce lo ricorda Paolo nel suo capolavoro: la Lettera ai Romani (Rm 8,15).

Il secondo capitolo del libro degli Atti degli Apostoli descrive la Pentecoste parlando di glossolalia: scendendo sul capo dei discepoli “lingue come di fuoco” (At 2,3), ad ognuno è data la capacità di parlare in altre lingue ad essi sconosciute.. cosa significa tutto ciò?
Se l’episodio di Babele (Gn 11) ci mostra la volontà da parte degli uomini di sostituirsi a Dio, costruendo una torre che si innalzi fino al cielo, motivo per cui le loro lingue vengono “confuse”, cosicché tra loro non riescono più a comprendersi, ecco che Pentecoste si mostra, al contrario, come la celebrazione dell’universalità della diffusione del vangelo, che è per tutti, indipendentemente dalla diversità di ogni uomo, simboleggiata dalle differenti lingue. Se il modo di parlare ci divide, lo Spirito di Dio ci unisce.

Che immenso regalo ci ha fatto Gesù, donandoci il suo Spirito!
Eh già.. «Senza lo Spirito Santo Dio è lontano – dice Atenagora – il Cristo resta nel passato, il vangelo una lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità un potere, la missione una propaganda, il culto un arcaismo e l’agire morale un agire da schiavi. Ma nello Spirito Santo.. il Cristo risorto si fa presente, il vangelo si fa potenza e vita, la Chiesa realizza la comunione trinitaria, l’autorità si trasforma in servizio, la liturgia è memoriale e anticipazione, l’agire umano viene deificato».

Che posto ha lo Spirito Santo nell’Eucarestia?
Ne è assoluto protagonista! Ovviamente insieme al Padre e al Figlio. Egli anima tutta la celebrazione, seppur in modo “invisibile”. È Gesù che parla, attraverso il suo Spirito, «quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura» (SC 7). Ed è sempre Lui (per la potenza del Padre), a trasformare i doni portati all’altare. Durante la Liturgia eucaristica, infatti, lo Spirito viene invocato in maniera del tutto speciale per ben due volte: la prima, più evidente, è quella che chiamiamo epiclesi, dal greco “chiamare sopra, invocare”: lo Spirito viene cioè invocato affinché trasformi il pane e il vino in Corpo e Sangue di Cristo. Ma c’è un secondo momento, una seconda epiclesi, non più su pane e vino ma sui comunicandi, su coloro cioè che da lì a poco riceveranno la comunione. Quest’ultima farà di essi una sola cosa!
Invochiamo allora lo Spirito proprio con quelle parole con cui il prete lo “chiama” sui presenti:

«Padre.. a noi, che ci nutriamo del corpo e del sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito» (Preghiera Eucaristica III).

Recita
Simona Mulazzani, Massimo Alberici

Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale di Gabriele Fabbri

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