La Lavanda dei piedi



Dal Vangelo secondo Giovanni 13, 1-15

Testo del Vangelo
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».

Meditazione
Siam giunti alla cena finale. Si dice sia ultima, ma certo non è così, dato che ogni anno la riviviamo e anche ogni giorno, fino alla fine dei tempi.
Ultima cena, ma mai ultima. Un mistero che apre un dramma: la passione di Cristo.
Nè in Eschilo o in Dante, quei grandi maestri di tenerezza, né in Shakespeare, il più puramente umano tra tutti gli artisti, o in tutto il mito o la leggenda celtica, dove la bellezza del mondo è mostrata attraverso un velo di lacrime, e la vita dell'uomo non è più della vita di un fiore, non c'è nulla che in pura semplicità di pathos sposata e fusa con una sublimità d'effetto tragico, si può dire equivalga e nemmeno si avvicini all'ultimo atto della passione di Cristo.
Sono parole di Oscar Wilde a riguardo della passione di Gesù. Bellissime! Ed è proprio in questa cena tra amici che si consuma il dramma del mistero. L'Eucarestia condensa in un sol atto tutto il Triduo pasquale, perchè già oggi annunciamo la morte di Gesù e proclamiamo la sua Risurrezione. Nell'Eucarestia c'è tutto: il dono, la vita, la morte, la Risurrezione, la vita eterna. Tutto il mistero di Gesù è concentrato in questa cena.
Ma il mistero del dramma sacrificale si coniuga nel Vangelo di Giovanni con la lavanda dei piedi. Nello stesso cenacolo si intrecciano mistero e servizio, slancio verso il cielo e inchini alla terra. Nello stesso cenacolo, nella stessa cena, nella stessa assemblea.
Non c’è un’Eucaristia dentro e una Lavanda dei piedi fuori perché l’una e l’altra sono operazioni complementari da esprimere, ambedue, negli spazi dove i discepoli di Cristo si radunano e vivono.
Oggi in ogni assemblea si vive la Lavanda dei piedi all'interno dell'Eucarestia affinché nelle comunità ci si lavi i piedi gli uni gli altri. Non partiamo da fuori, ma da dentro.
Brocca, catino e asciugatoio devono diventare arredi da sistemare al centro della nostra esperienza di fraternità, con la speranza che non rimangano suppellettili semplicemente ornamentali. Non ci sarà Eucarestia piena se non sapremo lavarci i piedi gli uni gli altri.
Preti, educatori, catechisti, operatori, ministri e laici tutti e a tutti noi che formiamo l'assemblea Gesù ci richiama al servizio vicendevole.
Servire non significa aspettare che qualcuno prima o poi farà. Il servizio gioca di anticipo, non misura i pro e i contro ma agisce prontamente, più col cuore che con la testa.
Chi serve è umile, ma chi si lascia servire lo è ancora di più. Il servizio tra noi non spartisce il bottino, non conquista confini. Chi serve sa che è servo inutile. Se servi per una utilità, fosse anche nobile, non servi il Signore nei fratelli. Il termometro della non gratuità è l'invidia. Quando arriviamo ad invidiare gli altri operatori ecco è salita la febbre. E quando ci arrabbiamo, li giudichiamo e li condanniamo ecco la febbre dell'egoismo è all'apice. Allora è meglio fermarsi, piuttosto che agire da malati. Meglio prendersi un tempo di pausa piuttosto che minare la comunità col cattivo esempio. Servire significa guardare il presente e non il passato e neppure il futuro. Il servizio non è nostalgico, il servizio non idealizza. Chi non serve perché un tempo si faceva diversamente o perché sarebbe meglio fare altro non è entrato dentro il Kairos evangelico, dentro il tempo della conversione. E se non servi perché non ti senti degno, allora pecchi ancora di orgoglio. Pensi che ci sia qualcuno degno? Siamo tutti nella stessa barca. Chi serve è umile. Solo una comunità fondata sull'umiltà potrà essere credibile ed evangelizzare.
Pietro, Pietro non sai ancora farti lavare i piedi da Gesù. A Betania forse anche tu ti sei scandalizzato di quella donna che sprecava profumo. Ma lei viveva una relazione, tu vivi solo un' idea di Gesù. per questo non ti fai toccare, non ti lasci fare. Ma arriverà anche il tuo momento. Crollerà quel castello di buone intenzioni e ti troverai solo vicino ad un fuoco che non scalda, davanti ad una serva che farà verità di te stesso, con il gallo che canta risvegliando l’uomo vero, quello che sa piangere lacrime amare.

 

 

Recita
Daniela Santorsola

Musica di sottofondo
Arrangiamento musicale con chitarra di Gabriele Fabbri

Meditazione
Don Franco Mastrolonardo

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