Ci si inginocchia alla Consacrazione?

e quando ci si inginocchia?

Non di rado si assiste, durante le nostre liturgie eucaristiche, ad una varietà di comportamenti che indicano la scarsa consapevolezza di ciò che facciamo piuttosto che la celebrazione di una azione sacramentale comunitaria.

C'è chi durante il canto rimane in silenzio (pur conoscendo il testo e la melodia), chi preferisce recitare il Gloria, il Credo o il Padre nostro sottovoce - «Per pregare meglio, interiormente…», così mi è stato detto - o chi decide personalmente quali atteggiamenti seguire e quali evitare («Sa, padre, io dopo la comunione non mi alzo mai, resto sempre seduta, mi sembra più bello rimanere in intimità con Gesù finché poi non esco di chiesa…»). Così facendo però ci dimentichiamo - o tante volte neppure sappiamo - che la natura profonda e più intima della liturgia è proprio di essere preghiera della Chiesa, ossia del corpo mistico di Cristo che nello Spirito Santo è costantemente rivolto al Padre.

 

L' essenza «ecclesiale» della liturgia ci chiede di partecipare alla celebrazione con un’attenzione comunitaria, pregando insieme con le stesse parole e con gli stessi gesti, inserendoci completamente nella preghiera di tutta la comunità che, con un cuore solo e un’anima sola, celebra il suo Signore.

 

Quindi il problema non è tanto mettersi o non mettersi in ginocchio, ma esprimere comunitariamente gli stessi gesti come segno di comunione e per vivere la dimensione ecclesiale della preghiera liturgica (diversa dalla preghiera personale).

 

Per quanto riguarda il momento della Consacrazione la Chiesa ci chiede, attraverso le indicazioni contenute nell’Ogmr al n° 43, di inginocchiarci al momento della consacrazione. Di fronte al Dio che discende umilmente nel pane e nel vino, anche noi esprimiamo in ginocchio, la nostra umiltà, il nostro bisogno di accogliere il Suo Dono per la nostra salvezza.

 

Però in alcuni momenti dell'anno, ad esempio nel Tempo Pasquale ci si potrebbe anche mettere in piedi per visibilizzare l'Anastasi, cioè il destarsi, l'alzarsi di Gesù, la Sua Resurrezione.

E comunque è sempre valido il principio del fare le cose insieme.

 

 

Per fare un piccolo esempio concreto: se mi trovassi in una Cappella di ospedale, magari piccola e con la prevalenza di persone anziane o malate, che senso avrebbe che io, ligio osservante delle norme, mi inginocchiassi da solo durante la consacrazione - e magari pensando anche di essere l’unico a fare bene?!?

Non sarebbe un controsenso alla natura di tutta la celebrazione eucaristica che è, appunto, preghiera comunitaria di tutta la Chiesa (e soprattutto di quella riunita lì, in quel momento)?

Sicuramente, in quella situazione, il modo migliore di esprime la nostra preghiera come comunità cristiana (e quindi dell’unico corpo mistico di Cristo) sarebbe quello di rimanere tutti in piedi - o tutti seduti nel caso fossero tutti su delle sedie a rotelle!

 

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